Protezione internazionale: giudici specializzati, abolizione dell’appello, procedimenti senza udienza e formazione, per decidere più in fretta, e meglio, chi resta in Italia.

Raffaele Miele


 

Adottare nuovi strumenti giuridici che insieme a quelli economici consentano di governare meglio il fenomeno migratorio, o più specificamente, il continuo e forte afflusso di profughi che negli ultimi anni si sta riversando sulle coste italiane e che rischia di innescare derive populistiche e xenofobe. A questo obiettivo punta anche il Dicastero della giustizia, come dichiarato dal ministro Andrea Orlando il 3 agosto in apertura della sua audizione avanti al Comitato parlamentare di controllo sull'attuazione dell'accordo di Schengen, di vigilanza sull'attività di Europol, di controllo e vigilanza in materia di immigrazione.

È un altro tassello che si inserisce nella più ampia strategia del Governo che, a dire il vero, almeno sul fronte principale, quello europeo, non sembra aver prodotto grandi risultati. Valga per tutti il dato poco lusinghiero del piano della ricollocazione (poco più di 3mila da Grecia ed Italia) che, già in partenza, evidenziava fortissime criticità, non solo per il criterio della volontarietà dell’accoglienza da parte degli Stati membri ma, soprattutto, per aver limitato l’accesso alla ricollocazione ad alcune nazionalità – quelle a più alto indice di accoglimento della richiesta di protezione internazionale , a partire da siriani ed irakeni – poco o affatto presenti tra i profughi che sbarcano sulle coste italiane.  Sul fronte interno, invece, la partita principale, almeno in questo momento, la sta giocando il Viminale, tra porti di sbarco, hotspot, accordi di riammissione e criteri di smistamento sul territorio nazionale. Su quest’ultimo punto, il recentissimo decreto 10 agosto 2016 del ministro Alfano, sulle modalità di accesso da parte degli enti locali ai finanziamenti del Fondo nazionale per le politiche ed i servizi dell'asilo, che abolisce definitivamente la gara e riduce al minimo i passaggi burocratici, per puntare ad un accredito triennale all’interno del quale in ogni tempo potrà essere proposto un progetto SPRAR, valutato da una commissione permanente che lo inserisce nell'albo dei progetti che vengono finanziati.

Tocca ora al Ministero della giustizia che, con un disegno di legge alle porte, si pone l’obiettivo di velocizzare il più possibile i procedimenti relativi al contenzioso dei richiedenti la protezione internazionale ed evitare un utilizzo strumentale del ricorso, spesso finalizzato a prolungare la permanenza nei centri di accoglienza, e quindi ridurre i costi dell’accoglienza. Gli strumenti: cancellare l’appello, eliminare l’udienza, ricorrere alle audizioni in teleconferenza, giudici specializzati, aumento di organico nelle sedi più calde e formazione.

L’incremento delle domande di asilo, come ha dichiarato il Ministro in audizione, si è tradotto in un esponenziale aumento del numero delle impugnazioni in sede giurisdizionale: durante i primi 5 mesi del 2016, nei Tribunali sono stati iscritti 15.008 ricorsi in materia di protezione internazionale, con un flusso in crescita, con circa 3.500 nuovi ricorsi al mese. Le sedi giudiziarie col maggior numero di iscrizioni sono Napoli e Milano, seguite da Roma e Venezia. Questo dato, se confrontato con gli esiti delle decisioni delle Commissioni territoriali, è decisamente allarmante e forse meriterebbe qualche attenzione in più da parte del Legislatore, probabilmente anche oltre i soli aspetti processuali. Infatti, dalle statistiche del Dipartimento per le libertà civili e per l’immigrazione emerge che nei primi cinque mesi del 2016 le Commissioni territoriali hanno esaminato e deciso 39.537 domande, delle quali 6.477 riconosciute meritevoli dello status di rifugiato o della protezione sussidiaria e 7.104 della protezione umanitaria, mentre ben 25.956 (il 65%) sono state rigettate. I 15.008 ricorsi indicati dal ministro Orlando stanno dunque ad indicare che su dieci domande respinte, sei sono state impugnate. Percentuale questa che sembra rappresentare un’eccezione, forse un record, del numero delle impugnazioni nel campo della protezione internazionale rispetto all’andamento del contenzioso nel settore dell’immigrazione in generale.

Un altro dato fornito dal ministro Orlando indica che le circa mille decisioni finora adottate nel 2016 presentano una bassissima percentuale di accoglimenti totali. Su questo punto, sarebbe interessante conoscere non solo il dato percentuale di accoglimenti totali (“bassissima”= 2/3%?), ma soprattutto il numero degli accoglimenti parziali, cioè relativi al riconoscimento, in subordine, della protezione umanitaria per via giudiziaria. Perché, se il dato fosse particolarmente elevato, si evidenzierebbe uno scollamento, un vero e proprio corto circuito, di sistema, prodotto dalla differenza tra i criteri adottati da tutte le Commissioni territoriali da un lato e dai Tribunali dall’altro. Infatti, se così fosse, qui il Legislatore dovrebbe chiedersi quale sia il punto di frattura, il disallineamento, ed intervenire per fare chiarezza sui requisiti: soggettivi, cioè riferiti ai bisogni della persona (sanitari, familiari)?; oppure oggettivi (il Paese, o l’area geografica)? Oppure entrambi, bilanciati?  

Che la questione della protezione umanitaria costituisca una delle criticità del sistema non è certo un mistero. Il 7 giugno il prefetto Angelo Trovato, presidente della Commissione nazionale asilo, in audizione alla Camera, ha detto: “Tenete conto che qui nascono delle letture di tipo diverso del fenomeno, quindi vi sono delle sentenze che non sta a me criticare – perché le sentenze si eseguono ma non si criticano – in cui il riferimento è il sito www.viaggiaresicuri.it. O addirittura altre sentenze di questi giorni, che la stampa riportava proprio qualche giorno fa, in cui stiamo chiedendo all'Avvocatura di appellare, in cui viene riconosciuta la protezione umanitaria perché nel Paese di origine vi è povertà. Abbiamo anche questo tipo di situazione.”

La proposta del ministro Orlando parte dalla considerazione che in questi giudizi vige il principio dell’onere della prova attenuato. Di conseguenza è lo stesso giudice che deve cercare i riscontri esterni alle dichiarazioni del richiedente asilo, onere che inevitabilmente rallenta i tempi delle decisioni la cui media si attesta su 167 giorni; troppo, sottolinea il Ministro, se paragonato alla durata dei riti di volontaria giurisdizione. Per questo motivo il provvedimento, che presto sarà portato in Consiglio dei ministri, si muoverà su quattro direzioni:

La specializzazione dell’organo giurisdizionale e l’incremento degli organici. Come nella maggior parte degli Stati membri, in particolare Spagna, Francia, Belgio, Paesi Bassi, Svezia, Grecia, saranno create sezioni specializzate che tratteranno le controversie in materia di protezione internazionale, di immigrazione e libera circolazione dei cittadini comunitari, e di accertamento dello stato di apolidia. Nel frattempo, per fronteggiare l’incremento esponenziale dei ricorsi, è stato avviato un piano straordinario di applicazioni extradistrettuali di magistrati presso le sedi più gravate (12) e, prossimamente, la situazione dovrebbe migliorare ulteriormente grazie alle nuove piante organiche degli uffici, giudicanti e requirenti, di primo grado, progetto che tiene conto anche di queste specifiche esigenze.

L’abolizione dell’appello contro le decisioni dei Tribunali. Anche in questo caso nella maggior parte degli Stati membri – tra cui Francia, Spagna, Belgio – esistono solo due gradi di giudizio: un primo grado di merito ed un secondo grado di legittimità.

La sostituzione dell’attuale rito sommario di cognizione. Per l’esame dei ricorsi contro il diniego della protezione internazionale è previsto un procedimento camerale, di regola senza udienza, ed il giudice potrà decidere sulla base della videoregistrazione del colloquio del richiedente davanti alla Commissione. Resta comunque l'udienza orale quando il giudice valuti la necessità di sentire l’interessato, o altrimenti per altre esigenze istruttorie connesse alla raccolta di prove. Nel caso di convalida del trattenimento, la partecipazione dell’espellendo all’udienza avverrà in teleconferenza tra il CIE e gli uffici giudiziari.

La formazione. I percorsi formativi su protezione internazionale e immigrazione dei giudici, togati ed onorari, faranno capo alla Scuola superiore della magistratura.

La collaborazione Giustizia/Commissione nazionale per il diritto di asilo consentirà l’interscambio tra Commissioni territoriali e Uffici giudiziari di documenti, comunicazioni e notificazioni utilizzando la piattaforma del processo civile telematico.

Alla data del 1 settembre 2016 lo schema di ddl non risulta ancora presentato in Parlamento.