Roma, 29 gennaio 2021
– PARTI ESTRATTE –
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Crisi del giudizio di cassazione
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L’ultimo fattore di crisi del giudizio di cassazione in ordine di tempo è costituito dalla enorme crescita dei ricorsi in materia di protezione internazionale strettamente correlata all’eliminazione del grado di appello ad opera del d.l. n. 13 del 2017 (i ricorsi, che nel 2016 erano 374, sono passati a 1.089 nel 2017, 6.026 nel 2018, 10.366 nel 2019 e 6.935 nel 2020). Si è trattato di un intervento che ha pesantemente aggravato la situazione del giudizio di legittimità, proprio quando si cominciavano a vedere i primi frutti dell’immane sforzo compiuto nel decennio precedente.
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I minori stranieri non accompagnati.
Le Corti segnalano l’incidenza quantitativa della recente razionalizzazione delle competenze, conseguente, da un lato, alla concentrazione nel Tribunale ordinario delle competenze in materia di trattamento economico dei figli, a prescindere dalla nascita all’interno o all’esterno del matrimonio, e dall’altro all’ampliamento della competenza del Tribunale minorile, cui sono state attribuite quelle relative alla nomina del tutore del minore non accompagnato e a tutta la successiva gestione delle tutele, prima appartenenti al giudice tutelare. I Tribunali minorili sono gli unici uffici giudiziari che hanno segnalato, nel corso dell’anno, un aumento delle sopravvenienze. Talune Corti analizzano il segnalato spostamento di competenze solo in termini quantitativi, mentre altre offrono una ben più completa lettura del fenomeno. Segnalano, infatti, che l’accorpamento presso i Tribunali dei minorenni di competenze prima appartenenti al giudice tutelare in materia di minori non accompagnati ha consentito ai Tribunali una visione complessiva del fenomeno, indispensabile per la miglior tutela della condizione del minore. Non mancano di sottolineare le difficoltà di nominare i tutori volontari dei minori, a causa dell’esiguo numero di volontari e della impossibilità allo stato di fruire di alcun rimborso. In realtà, la legge finanziaria 2020 (legge 27 dicembre 2019 n. 160) all’art. 1, comma 882, ha previsto uno stanziamento di fondi per il “rimborso a favore dei tutori volontari delle spese sostenute per adempimenti connessi con l’ufficio della tutela volontaria” (lett. c), oltre a prevedere più in generale (lett. a) “interventi a favore dei tutori volontari”. Tuttavia, il decreto previsto dall’art. 1, comma 883, che deve dettare le modalità di attuazione di tale finanziamento, non è stato ancora emanato. Va ricordato che la normativa in materia di tutele introdotta dalla legge n. 47/2017 e dal d.lgs. n. 220/2017 è stata determinante ai fini della chiusura della procedura di infrazione che la Commissione europea aveva aperto nei confronti dell’Italia e la sua non adeguata applicazione potrebbe condurre a una riapertura della stessa da parte della Commissione che costantemente ne monitora la applicazione. Molte realtà territoriali di frontiera segnalano di essere luogo di transito, in quanto è elevato il numero dei minori che si allontanano senza più dare notizie di sé: l’Italia è spesso solo un passaggio obbligato per raggiungere altri Paesi, in particolare la Germania e i Paesi del Nord Europa, dove, effettivamente, spesso già si trovano i congiunti dei minori che viaggiano soli. Alcune Corti segnalano anche che ha inciso sui flussi l’ordinanza n. 9199 del 2019 di questa Corte, che ha attributo alla nozione di minore non accompagnato una valenza più ampia rispetto a quella precedentemente fatta propria dai Tribunali, estendendola a tutti i casi in cui il minore sia in Italia privo dei genitori. Non può mancarsi di sottolineare la difficoltà causata ai Tribunali per i minorenni dal mancato avvio della gestione informatizzata dei fascicoli. Si segnalano, inoltre, le difficoltà create dalla pandemia in relazione all’ascolto del minore, perché l’audizione a distanza non consente di cogliere tutte le sfumature della comunicazione non verbale. La maggior presenza di minori stranieri si traduce poi anche nel costante aumento sia delle cause che attengono al permesso di soggiorno per i genitori extracomunitari con figli minori nati o stabilmente dimoranti in Italia da anni (il cui numero è notevolmente cresciuto), sia le cause riguardanti il riconoscimento di sentenze e provvedimenti stranieri in materia di status delle persone e adozioni all’estero (che postulano una corretta apertura al riconoscimento dei provvedimenti stranieri, ove emessi nel contraddittorio delle parti e non contrari all’ordine pubblico internazionale, nel rispetto dell’art. 8 della CEDU).
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La tutela dei migranti
Le Corti d’appello più interessate dal fenomeno della immigrazione segnalano in primo luogo che, a seguito della abolizione dell’appello con il cd. decreto Minniti, hanno quasi completamente eliminato l’arretrato in materia. Alla eliminazione del contenzioso in appello fa però da contraltare l’aumento esponenziale dei ricorsi in sede di legittimità. In generale, segnalano un complessivo calo degli sbarchi, che, unitamente ai provvedimenti normativi che hanno comportato, nel periodo da marzo a maggio, un sostanziale fermo anche dell’attività delle Commissioni amministrative territoriali, ha determinato una corrispondente diminuzione delle sopravvenienze in materia di immigrazione, protezione internazionale e libera circolazione dei cittadini dell’Unione europea.
Ciò nonostante, l’incidenza percentuale del contenzioso in materia di immigrazione, in particolare in alcuni distretti di Corte d’appello, nonché in Cassazione, rimane quantitativamente così rilevante, da frustrare, come segnalano alcune Corti, l’impegno di gestirla a mezzo di prassi virtuose e da rischiare di vanificare ogni altro dato positivo emergente dall’impegno per una corretta gestione del contenzioso e da pregiudicare il perseguimento degli altri obiettivi prioritari, quali il mantenimento del rendimento globale dell’attività giudiziaria, la riduzione dell’arretrato ultra-triennale, la generalizzata trattazione prioritaria dei procedimenti di competenza delle Sezioni specializzate in materia d’impresa e dei procedimenti relativi alle separazioni personali e ai divorzi contenziosi. In attesa di un diverso approccio complessivo al fenomeno della migrazione dalle zone più povere del mondo, che non è evitabile e che va, insieme, controllato sotto il profilo della sicurezza e valorizzato come una risorsa se teso a garantire inserimento lavorativo e integrazione, può osservarsi che anche in questo campo diverse realtà territoriali segnalano la funzionalità dei progetti di collaborazione con organismi internazionali che professionalmente analizzano i flussi migratori, quali l’EASO, con il quale dal 2020 è stata avviata anche dalla Corte di cassazione una proficua collaborazione a mezzo di una convenzione.
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L’immigrazione
In tema di immigrazione, la disciplina del permesso per motivi umanitari continua a trovare applicazione, a seguito di un fondamentale arresto delle Sezioni unite dello scorso anno, anche in relazione a domande proposte prima dell’entrata in vigore della normativa sopravvenuta. La norma sulla protezione umanitaria, attuativa del diritto di asilo costituzionale ex art. 10, terzo comma, Cost., si collega ai diritti fondamentali che l’alimentano ed è assurta, in via evolutiva e con il sostegno dell’art. 8 della CEDU, a clausola generale di sistema, capace di favorire i diritti umani e di radicarne l’attuazione. La giurisprudenza ha chiarito che l’orizzontalità dei diritti umani comporta che, ai fini del riconoscimento della protezione umanitaria, occorre operare una valutazione comparativa della situazione soggettiva e oggettiva del richiedente con riferimento al Paese d’origine, in raffronto alla situazione d’integrazione raggiunta nel Paese d’accoglienza, senza che abbia rilievo l’esame del livello di integrazione raggiunto in Italia, isolatamente e astrattamente considerato, essendo necessaria una condizione personale di effettiva deprivazione dei diritti umani che abbia giustificato l’allontanamento. L’integrazione sociale combinata con la privazione dei diritti fondamentali, le condizioni di estrema povertà o ambientali, i motivi di salute possono utilmente nutrire la fattispecie aperta della protezione umanitaria a condizione che siano valutati in concreto, non essendo sufficiente semplicemente dimostrare l’esistenza di condizioni di vita migliori nel paese di accoglienza. Occorre, in altri termini, dimostrare che la persona che invoca la protezione umanitaria si sia allontanata da una condizione di vulnerabilità effettiva, sotto il profilo specifico della violazione o dell’impedimento all’esercizio dei diritti umani inalienabili ai quali sarebbe nuovamente esposta se la protezione non fosse riconosciuta e fosse così allontanato verso il Paese d’origine. Consistendo in un catalogo aperto legato a ragioni di tipo umanitario, la misura abbraccia tutte quelle situazioni in cui, pur non sussistendo i presupposti per il riconoscimento dello status di rifugiato o della protezione sussidiaria, tuttavia non possa disporsi l’espulsione per le più svariate ragioni, non necessariamente fondate sul fumus persecutionis o sul pericolo di danno grave per la vita o per l’incolumità psicofisica. Su queste premesse, l’ordinanza n. 13565 dà rilievo, nella valutazione da operare caso per caso, alle violenze subite nel Paese di transito e di temporanea permanenza, potenzialmente idonee, quali eventi in grado di ingenerare un forte grado di traumaticità, ad incidere sulla condizione di vulnerabilità della persona, e cassa la decisione di merito che aveva negato la protezione umanitaria senza valutare le circostanziate deduzioni del richiedente relative alle violenze subite in Libia, ove si era recato per reperire un’occupazione lavorativa, indicate come causa della compromissione delle sue condizioni psico-fisiche, così evidenziando la connessione tra il transito in quel Paese e il contenuto della domanda. L’ordinanza n. 20642 rinviene una condizione di vulnerabilità soggettiva del richiedente nell’esistenza di una fortissima limitazione della libertà individuale in ragione del censo e della casta tale da determinare una inammissibile compressione del diritto fondamentale di scegliersi il proprio compagno di vita e di formarsi una famiglia, soprattutto quando chi viola tali regole è oggetto di discriminazione e riprovazione. È stata così cassata la decisione impugnata, che aveva negato la protezione umanitaria ad un cittadino senegalese, proveniente da una piccola realtà rurale, che aveva intessuto una relazione sentimentale con una donna di una casta superiore alla sua in un paese in cui non è accettato il matrimonio tra persone di caste diverse per censo ed estrazione sociale.A sua volta, l’ordinanza n. 23720 riconosce che, ai fini della concessione del permesso di soggiorno per ragioni umanitarie, nell’effettuare il giudizio di comparazione tra la situazione del richiedente in Italia e la condizione in cui questi verrebbe a trovarsi nel paese di provenienza ove rimpatriato, il giudice, al fine di dare concreta attuazione al diritto alla vita privata e familiare, protetto dall’art. 8 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, come interpretato dalla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’Uomo, deve tener conto, quale fattore concorrente ma non esclusivo di un’eventuale situazione di vulnerabilità, anche dell’esistenza e della consistenza dei legami familiari del richiedente in Italia, effettuando un bilanciamento tra il pericolo di danno alla vita familiare e l’interesse statale al controllo dell’immigrazione. Qui la Corte ha confermato la pronuncia del giudice di merito che aveva ravvisato una condizione di vulnerabilità per il richiedente asilo che aveva abbandonato un paese in cui non aveva legami socioculturali e affettivi di nessun genere, ricongiungendosi alla madre, regolarmente soggiornante in Italia, paese dove aveva avviato altresì un percorso di integrazione. Sollevando una questione di massima di particolare importanza, l’ordinanza 28316 ha posto alle Sezioni unite l’interrogativo se, ai fini del riconoscimento della protezione umanitaria, assuma rilevanza l’accertato effettivo “radicamento” dello straniero del territorio italiano, fondato su precisi indici di stabilità lavorativa e relazionale, la cui modificazione – a causa del rimpatrio – possa determinare una situazione di vulnerabilità dovuta alla compromissione del diritto alla vita privata o a quella familiare ex art. 8 della CEDU.
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