Portale integrazione migranti
30 settembre 2019
L'edizione 2019 dell'International Migration Outlook analizza i recenti sviluppi dei movimenti e delle politiche migratorie nei paesi OCSE e in alcune economie non OCSE. Viene inoltre effettuata una analisi sull'evoluzione dei risultati del mercato del lavoro degli immigrati nei paesi OCSE. L'edizione di quest'anno comprende due capitoli speciali, uno sul contributo della migrazione temporanea ai mercati del lavoro dei paesi dell'OCSE e l'altro sugli effetti a lungo termine dell'integrazione della presenza familiare. La relazione contiene anche note relative ai singoli paesi e un allegato statistico.
Nel 2018 le migrazioni segnano un aumento del 2% nei Paesi dell'OCSE
Secondo i dati statistici preliminari, nel 2018 i Paesi dell'OCSE hanno accolto circa 5,3 milioni di nuovi migranti permanenti, un aumento del 2% rispetto al 2017. Dal 2015 i Paesi europei dell'OCSE hanno accolto complessivamente un maggior numero di migranti permanenti rispetto agli Stati Uniti. Gli Stati Uniti restano nondimeno il singolo Paese più importante di destinazione per i migranti, seguiti dalla Germania.
Nel 2018 il numero delle domande di asilo nei Paesi dell'OCSE è sceso a 1,09 milione, una diminuzione del 34% rispetto al livello record di 1,65 milione di richieste registrato sia nel 2015 che nel 2016. La maggior parte dei richiedenti asilo è originaria dell'Afghanistan, seguito dalla Siria, dall'Iraq e dal Venezuela.
A causa del calo delle richieste di asilo, è diminuito anche il numero dei rifugiati registrati. Nel 2017, ultimo anno per il quale sono disponibili dati dettagliati per categoria di migranti, sono state rilasciate circa 700.000 autorizzazioni d'ingresso per motivi umanitari, rispetto a 900 000 nel 2016. Sono aumentate altre forme di migrazione permanente, in particolare quella per lavoro (+6%), ossia di individui che emigrano per assumere un posto di lavoro.
Nel 2017 la migrazione temporanea per lavoro, ossia la migrazione per un'attività lavorativa limitata nel tempo, è aumentata in modo significativo attestandosi a 4,9 milioni di lavoratori migranti temporanei, rispetto a 4,4 milioni nel 2016. La Polonia è la prima destinazione di migrazione temporanea per lavoro, seguita dagli Stati Uniti. Nell'Unione europea e nell'area EFTA (Associazione europea di libero scambio) i lavoratori trasferiti dai loro datori di lavoro per lavorare in altri Stati membri dell'UE/EFTA hanno rappresentato il principale flusso di lavoratori temporanei, con quasi 2,7 milioni di trasferimenti all'estero.
Adeguare i programmi di migrazione e incoraggiare l'integrazione
I Paesi dell'OCSE continuano ad adeguare i loro programmi di migrazione per lavoro al fine di migliorare la selezione e favorire le competenze di cui hanno bisogno. Diversi Paesi hanno anche riformato le loro procedure d'ingresso per gli investitori migranti o creato nuovi programmi per i migranti che finanziano le imprese start‑up. Nel frattempo alcuni Paesi hanno introdotto limitazioni alle procedure di ricongiungimento familiare o hanno semplificato le loro procedure di asilo.
Le prospettive di occupazione dei migranti hanno continuato a migliorare nel 2018, consolidando le tendenze positive osservate negli ultimi cinque anni. In media, nei Paesi dell'OCSE più del 68% dei migranti lavora e il tasso di disoccupazione dei migranti è inferiore al 9%. I miglioramenti in termini di occupazione per i migranti recenti sono stati più consistenti nei Paesi che registravano tassi di occupazione relativamente alti, come l'Irlanda o il Regno Unito. Non sono stati osservati cambiamenti nei tassi di occupazione dei migranti recenti in Italia e Francia, dove circa il 40% dei migranti recenti lavorava nel 2018.
Con la continua diminuzione dei flussi di ingresso di richiedenti asilo e di rifugiati, l'attenzione dei politici si è spostata dall'organizzazione dell'accoglienza di nuovi arrivi alla creazione o all'adeguamento di politiche d'integrazione. Alcuni Paesi hanno rafforzato le risorse delle autorità locali per promuovere l'integrazione dei nuovi arrivati. In particolare, alcuni di essi hanno adottato misure per migliorare le competenze linguistiche degli immigrati, proposto corsi di educazione civica e di normativa sociale e istituito sistemi di valutazione e riconoscimento delle qualifiche professionali formali.
L'impatto della migrazione temporanea sul mercato del lavoro
L'impatto dell'immigrazione sull'occupazione e sui salari dei nativi resta uno dei principali motivi di preoccupazione nei dibattiti pubblici. Sia la ricerca che l'attività politica dedicate all'impatto dell'immigrazione sul mercato del lavoro si sono concentrate sugli immigrati permanenti. Tuttavia le prime stime dell'OCSE mostrano che in molti Paesi dell'OCSE sono i migranti temporanei a contribuire significativamente all'occupazione. In 6 Paesi su 20 essi rappresentano una percentuale del 2% che si aggiunge alla popolazione attiva residente. Tra questi Paesi, il Lussemburgo e la Svizzera accolgono il maggior numero di migranti temporanei per lavoro in rapporto alla popolazione, un dato riconducibile in larga misura ai lavoratori trasferiti all'estero in ambito UE/EFTA. Tra i cinque principali Paesi di accoglienza figurano anche Nuova Zelanda, Corea e Israele. Nei Paesi UE/EFTA la libera circolazione di migranti per motivi di lavoro, tra cui i lavoratori frontalieri, si aggiunge in misura quasi dell'1% al totale della popolazione attiva residente. La libera circolazione di migranti per motivi di lavoro temporaneo contribuisce maggiormente ai settori edile e manifatturiero.
L'integrazione e il ruolo del ricongiungimento familiare
Numerosi recenti dibattiti hanno messo in discussione il ruolo del ricongiungimento familiare nell'integrazione e le politiche necessarie, in particolare nel contesto dell'ondata di rifugiati del 2015‑2016.
Nuovi dati fattuali relativi a Paesi dell'OCSE mostrano che nei Paesi di accoglienza la maggior parte dei migranti coniugati vive con il proprio coniuge. La quota di migranti il cui coniuge è assente resta inferiore al 20% nella maggior parte dei Paesi dell'OCSE. Quanto agli effetti del ritardo del ricongiungimento familiare sul migrante "principale" (arrivato nel Paese ospite prima degli altri membri della famiglia), i dati non sono univoci. Da un lato, i migranti principali con un coniuge arrivato successivamente nel Paese ospite, anche dopo dieci o più anni, guadagna significativamente meno rispetto ai migranti per i quali il ricongiungimento non è stato rimandato. Dall'altro, i migranti principali hanno un numero lievemente superiore di probabilità di lavorare.
I ritardi nelle procedure di ricongiungimento influiscono anche sui coniugi e sulle loro prospettive di integrazione. Nei Paesi europei dell'area OCSE e negli Stati Uniti i coniugi per i quali la data di ingresso è stata posticipata acquisiscono un livello di competenze inferiore nella lingua del Paese ospite, rispetto ai coniugi per i quali la data di ricongiungimento non è stata rinviata. I risultati del processo di integrazione dei figli che accompagnano i migranti possono anch'essi essere molto compromessi da prolungati ritardi, in particolare in termini di livello di competenze nella lingua del Paese ospite e di risultati scolastici. Gli adulti migranti che vivono con i propri genitori hanno maggiori probabilità di trovare un'occupazione e di lavorare per più ore, in particolare quando hanno figli piccoli.
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