EUNAVFOR MED Sophia: una missione prorogata ma depotenziata

Senato della Repubblica
Servizio studi
Nota su atti dell'Unione europea n. 25


 

La decisione del Consiglio Ue: la missione continua ma (almeno per ora) senza navi

Con una decisione assunta lo scorso 29 marzo, il Consiglio Ue ha prorogato per ulteriori sei mesi (fino al 30 settembre 2019), il mandato dell'operazione EUNAVFOR MED Sophia. Nello stesso tempo il Comitato politico e di sicurezza dell'Unione [1] (titolare del controllo e della direzione strategica della missione) ha dato istruzioni al suo Comandante di "sospendere temporaneamente", per questi sei mesi, il dispiego degli assetti navali.

La missione (il cui mandato sarebbe scaduto il 31 marzo) viene dunque mantenuta in vita, e i suoi compiti vengono confermati, a partire dalla prevenzione dei flussi migratori illegali e dal contrasto ai trafficanti di esseri umani. A tale mandato la missione potrà d'ora in poi però adempiere solo indirettamente, attraverso la sorveglianza aerea e il sostegno alle attività di guardia costiera e marina libiche. Nel frattempo, come si legge nel comunicato stampa del Consiglio, gli Stati membri "continueranno a lavorare, nelle sedi appropriate, a una soluzione al problema degli sbarchi nell'ambito del seguito da dare alle conclusioni del Consiglio europeo di giugno 2018".

È la determinazione del porto di sbarco delle persone soccorse in mare, infatti, come noto, il tema sul quale gli Stati non sono riusciti a trovare un accordo, dopo che, nel dicembre dello scorso anno, la missione era stata prorogata di soli tre mesi. Senza l'impiego degli assetti navali, il problema viene dunque eliminato alla radice, anche se le capacità della missione risulteranno inevitabilmente molto depotenziate, proprio in un periodo dell'anno in cui, in coincidenza con la stagione estiva, non è difficile immaginare un'intensificazione dei flussi irregolari attraverso il Mediterraneo. D'altra parte la soluzione raggiunta (la c.d. "Sophia asciutta" come è stata definita nel gergo brussellese) sospende l'impiego di un assetto pure essenziale, quello navale, ma lascia in piedi il resto, evitando il rischio della chiusura completa di una missione generalmente apprezzata (prospettiva negli ultimi mesi più d'una volta molto vicina) o della sua trasformazione in una missione civile per la sola formazione della guardia costiera.

Pur non essendo il salvataggio di vite in mare tra i compiti di Sophia, gli assetti militari che prendono parte alla missione, al pari di qualsiasi altra imbarcazione, istituzionale o privata, sono comunque tenuti a svolgere attività di soccorso, ai sensi delle norme internazionali.

Dall'avvio delle sue attività (nel giugno del 2015), l'operazione ha consentito - secondo i dati del suo Comando - il salvataggio di oltre 45 mila persone (circa il 9% del totale delle persone salvate in mare nel periodo interessato).

Tale attività avviene sotto il coordinamento della Guardia costiera italiana e dell'IMRCC di Roma. Sulla base di disposizioni interne applicabili all'operazione EUNAVFOR MED, per quanto riguarda il soccorso in mare si fa rinvio al piano operativo dell'operazione TRITON dell'agenzia FRONTEX (che pure nel frattempo si è conclusa, sostituita dall'operazione THEMIS), nel quale è previsto che i migranti soccorsi siano condotti nei porti italiani.

Negli ultimi due anni il nostro Paese ha più volte richiesto la modifica di questa condizione, al fine di giungere a una distribuzione più sostenibile degli oneri derivanti dalla gestione delle persone soccorse in mare. Già nel luglio 2017, l'Italia aveva inviato al Consiglio una dichiarazione per ribadire (in occasione della proroga e dell'ampliamento della missione) la richiesta di rivedere il contenuto dei piani operativi. Tale posizione è stata poi successivamente rinnovata, in diverse sedi, dall'attuale Governo. Già dal luglio 2018, infatti, anche a seguito dei riscontri, pure parziali, ottenuti nel Consiglio europeo di giugno, l'Italia non ritiene più "applicabili" le disposizioni del piano operativo della missione, relativamente alle regole per lo sbarco delle persone soccorse [2].


L'evoluzione della missione

L'operazione militare EUNAVFOR MED è stata istituita nel maggio del 2015, (e poi resa operativa a partire dal mese di giugno), in una fase segnata da ingenti flussi migratori e da continui drammatici naufragi, con il compito di contribuire a smantellare le reti del traffico e della tratta di esseri umani nel Mediterraneo centromeridionale.

Nel giugno del 2016 la missione è stata prorogata di un anno (fino al 27 luglio 2017) con l'introduzione di due compiti aggiuntivi:

  • la formazione della guardia costiera e della marina libiche;
  • il contrasto al traffico di armi, in conformità alle relative risoluzioni del Consiglio di sicurezza ONU.

Nel luglio del 2017, in occasione della seconda proroga (fino al 31 dicembre 2018), il Consiglio Ue ha ulteriormente ampliato il mandato dell'operazione, attribuendole anche i compiti di:

  • svolgere attività di sorveglianza e raccolta informazioni sulle esportazioni illecite di petrolio dalla Libia, conformemente alle rilevanti risoluzioni del Consiglio di sicurezza ONU;
  • istituire un meccanismo di controllo per assicurare l'efficienza a lungo termine della formazione della guardia costiera libica.

Il Consiglio ha anche stabilito il rafforzamento dei meccanismi di scambio di informazioni con FRONTEX ed EUROPOL.

Nel dicembre del 2018 - come detto - la missione è stata ulteriormente prorogata per tre mesi.


Il mandato principale: la lotta al traffico di esseri umani

Nella decisione istitutiva del 2015 il mandato principale, e inizialmente esclusivo, di EUNAVFOR MED, cioè la lotta al traffico di esseri umani, viene diviso in quattro fasi successive [3]:

1) prima fase: individuazione e monitoraggio delle reti di migrazione attraverso la raccolta di informazioni e il pattugliamento in alto mare (fase attivata contestualmente all'avvio della missione);

2) seconda fase: fermi, ispezioni, sequestri e distruzione in alto mare di imbarcazioni sospettate di essere usate per il traffico e la tratta di esseri umani, alle condizioni previste dal diritto internazionale applicabile (fase attivata nel mese di ottobre del 2015);

3) terza fase: fermi, ispezioni, sequestri e dirottamenti di imbarcazioni sospettate di essere usate per il traffico e la tratta di esseri umani, nelle acque territoriali e interne libiche, alle condizioni previste da eventuali risoluzioni del Consiglio di sicurezza ONU o con il consenso dello Stato libico. Questa fase, come è noto, non è stata mai attivata, poiché non sono intervenuti né una risoluzione ONU, né un atto di consenso da parte del governo internazionalmente riconosciuto;

4) quarta fase: adozione degli stessi interventi, sempre in conformità alle pertinenti risoluzioni ONU o al consenso della Libia, nel territorio dello Stato libico. Similmente alla precedente, con la quale condivide le necessarie precondizioni e di cui rappresenta un'ulteriore evoluzione, anche questa fase non è stata mai attivata.

Sulla base dei dati forniti dal Comando dell'operazione, dall'inizio delle sue attività Sophia ha fermato (e trasferito alle autorità italiane) 151 sospetti trafficanti e ha reso inutilizzabili 551 imbarcazioni impiegate dai trafficanti.


I compiti aggiuntivi

Nel corso della sua attività, oltre al mandato principale della lotta al traffico di esseri umani, la missione ha acquisito, come già ricordato, taluni compiti aggiuntivi.

La formazione della Guardia costiera libica ha avuto inizio il 30 agosto 2016. Nel luglio del 2017 è stato anche istituito un meccanismo di controllo del personale in formazione, in stretto coordinamento con le altre parti interessate.

Nell'ambito di queste attività, secondo i dati del Comando della missione, Sophia ha assicurato la formazione di 335 unità di personale libico, sia della Guardia Costiera (195 unità) che della Marina militare (154 unità)[4].

Le attività relative all'attuazione dell'embargo sulle armi sancito dall'ONU nei confronti della Libia ha avuto inizio il 6 settembre 2016.

Da allora il personale di Sophia ha condotto 2405 interrogatori, 161 "approcci amichevoli" (friendly approaches), 7 ispezioni di bandiera e 6 abbordaggi.

Contemporaneamente è stata avviata l'attività di sorveglianza e raccolta informazioni sul traffico illecito di petrolio greggio e altre esportazioni illecite, ai sensi delle rilevanti risoluzioni ONU. Le informazioni raccolte in tale contesto sono fornite alle autorità nazionali degli Stati membri, alle autorità libiche nonché agli organismi competenti dell'Unione europea.

Oltre ai compiti appena descritti, l'operazione ha stipulato una serie di accordi formali di cooperazione e di scambio informativo con diversi soggetti interni e internazionali come la Direzione Nazionale Antimafia e antiterrorismo, la Corte Penale Internazionale, l'Agenzia di cooperazione giudiziaria dell'Unione Europea (EUROJUST), l'Ufficio delle Nazioni Unite per il controllo del traffico di droga e la prevenzione del crimine (UNODC) e il Comando Marittimo Alleato della NATO (MARCOM)[5].


La struttura organizzativa e il finanziamento

L'operazione è comandata, fin dalla sua istituzione, dall'ammiraglio di divisione Enrico Credendino, e la sede del comando operativo è a Roma, presso il Comando di vertice interforze (COI) di Centocelle.

Essendo un'operazione con carattere "esecutivo", che esercita compiti di gestione attiva di una crisi (l'unica tipologia che nel gergo UE viene definita "operazione"), il comandante dell'operazione non ha un vertice gerarchico di tipo militare, ma risponde direttamente agli organi politici dell'Unione europea, ovvero Consiglio, Alto rappresentante e Comitato politico e di sicurezza. Per queste sue caratteristiche, la missione non è stata interessata dalla recente riforma che ha creato, presso lo Stato maggiore dell'Unione europea, una capacità militare di pianificazione e controllo unica (MPCC) con un solo comandante per tutte le missioni "non esecutive", ovvero di tipo addestrativo o di assistenza.

Al momento contribuiscono alla missione, in varie forme e varia misura, 26 Stati membri (compreso finora anche il Regno Unito), con la sola esclusione della Danimarca (che in materia di difesa esercita un opt-out dalle politiche Ue) e del Belgio.

Per quanto riguarda gli assetti, fino al 31 marzo la missione disponeva (dopo il ritiro della componente navale tedesca) di 2 navi (una fregata italiana e un pattugliatore d'altura spagnolo), ciascuna dotata di un elicottero imbarcato, e di 6 aerei (due lussemburghesi, uno ciascuno di Spagna, Polonia, Francia e Italia). Dal 1° aprile (sospesa l'attività in mare) gli assetti aerei dovrebbero rimanere invariati, mentre il personale impiegato dovrebbe scendere da circa 600 a circa 380 persone.

Dal punto di vista finanziario l'operazione, avendo natura militare, non è alimentata dal bilancio dell'Unione, bensì direttamente dagli Stati membri, ciascuno per le spese che derivano dall'impiego dei propri assetti. Fa eccezione una limitata quota a carico del c.d. "meccanismo Athena", istituito presso il Consiglio, con contributi proporzionali degli Stati membri, che provvede alla copertura di alcuni costi comuni. Questi ultimi sono quantificabili complessivamente, per l'intero periodo di attività dell'operazione (cioè dal 18 maggio 2015 al 31 marzo 2019), in circa 25 milioni di euro [6].

Per quanto riguarda l'Italia, la missione è finanziata nel quadro della partecipazione italiana alle missioni internazionali di pace e di stabilizzazione. Per il 2015 e il 2016, quindi, i costi della missione sono stati coperti dai decreti-legge di finanziamento delle missioni (i c.d. "decreti - missione"). A partire dal 2017, con l'entrata in vigore della legge n.145 del 2016 (cd. "legge quadro sulle missioni internazionali"), la missione è finanziata attraverso le delibere previste da tale norma. Dalla sua istituzione fino al 31 dicembre 2018, l'Italia ha impiegato complessivamente risorse per circa 215 milioni [7].

 

2 aprile 2019

A cura di Federico Petrangeli

 

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Note:

1) Composto dai rappresentanti diplomatici degli Stati presso l'Ue e presieduto da un rappresentante del Servizio europeo di azione esterna. 

2) Così si legge nella lettera inviata lo scorso 17 luglio dal Ministro degli Esteri Moavero all'Alto Rappresentante Mogherini. Nelle conclusioni del vertice di giugno il Consiglio europeo ha sottolineato l'esigenza di "un nuovo approccio allo sbarco di chi viene salvato in operazioni di ricerca e soccorso, basato su azioni condivise o complementari tra gli Stati membri". In quest'ottica i Capi di Stato e di Governo (accogliendo parzialmente una proposta italiana), hanno invitato Consiglio e Commissione a esaminare "il concetto di piattaforme di sbarco regionali, in stretta cooperazione con i Paesi terzi interessati e con l'UNHCR e l'OIM". Il Consiglio europeo ha anche convenuto che le persone salvate in mare "dovrebbero essere prese in carico sulla base di uno sforzo condiviso e trasferite in centri sorvegliati istituiti negli Stati membri, unicamente su base volontaria [...] lasciando impregiudicata la riforma di Dublino". Come si legge in un intervento del Governo, in risposta a un'interrogazione parlamentare, nell'Aula della Camera, il 29 marzo, la proroga di sei mesi del mandato "deve costituire un'opportunità per condurre necessarie valutazioni ed approfondimenti in ambito europeo, finalizzate a valorizzare un'evoluzione dell'attuale mandato che preveda di focalizzare le attività della missione sull'embargo di armi e sul contrasto ai traffici illeciti di petrolio... incrementando sia l'addestramento e l'attività di capacity building a favore della guardia costiera libica, sia l'attività di pattugliamento marittimo funzionale ad un intervento della citata guardia costiera, reso ancora più efficace e tempestivo grazie ad un allertamento precoce. In sintesi, si tratterebbe di perseguire la piena capacità operativo autonoma per le autorità marittime libiche". Della questione si è parlato anche nel corso dell'audizione del Rappresentante permanente d'Italia presso l'Ue, svolta in Senato il 3 aprile.

3) Le fasi della missione, pure formalmente solo tre, sono comunemente indicate come quattro, anche nei documenti ufficiali, dal momento che la seconda di esse è a sua volta suddivisa in due fasi, nettamente distinte tra loro. La terza fase è infatti indicata come fase 2.2 nella decisione 2015/778

4) Le attività di formazione, come riporta il Comando della missione, si sono finora svolte sia a bordo delle imbarcazioni di Sophia, sia a terra (in particolare in Italia, Grecia, Malta, Spagna e Croazia), con particolare attenzione al diritto internazionale e al rispetto dei diritti umani.

5) Si può anche segnalare che da alcuni anni il Comando di Sophia organizza SHADE MED (SHared Awareness and DEconfliction in the MEditerranean), forum sul fenomeno dell’immigrazione in mare che coinvolge un gran numero di attori operanti nel Mediterraneo, incluse organizzazioni internazionali e regionali, organismi statali, ONG e compagnie di navigazione. 

6) In particolare 11.820.000 euro per il primo mandato (18 maggio 2015 - 27 luglio 2016), 6.700.000 euro per il secondo mandato (28 luglio 2016 - 27 luglio 2017); 6 milioni di euro per il terzo mandato (28 luglio 2017 - 31 dicembre 2018) e 1 milione e centomila euro per il quarto (1 gennaio - 31 marzo 2019). Per il periodo fino al 30 settembre 2019 sono previsti costi comuni per 2.761.200 euro.

7) Esattamente 215.493.576 euro, così suddivisi: 59.486.740 euro per il 2015; 70.305.952 euro per il 2016; 43.149.186 euro per il 2017 e 42.551.698 euro per il 2018. Per il periodo dal 1° gennaio al 31 marzo del 2019 l'ammontare delle risorse impiegate dovrà essere quantificato nella delibera per la partecipazione italiana alle missioni internazionali per il 2019 (ai sensi della legge n.145 del 2016).