Disposizioni urgenti in materia di reddito di cittadinanza e di pensioni.

Servizi Studi del Senato della Repubblica e della Camera dei deputati
Dossier 1 marzo 2019


 

- Estratto -

(…)


Articolo 2
(Beneficiari)

L’articolo in esame riconosce ai nuclei familiari in possesso di taluni requisiti l’accesso al Reddito di cittadinanza (Rdc) e alla Pensione di cittadinanza (con alcune espresse e limitate esclusioni), regolando, altresì, i rapporti tra il beneficio in esame ed altri strumenti di sostegno al reddito.

In particolare, per l’accesso al beneficio concorrono cumulativamente diversi requisiti, con riferimento al criterio della residenza e del soggiorno, del reddito e del patrimonio e del godimento di beni durevoli (comma 1)


Requisito della residenza e del soggiorno

Con riferimento a questo requisito, il componente richiedente il beneficio deve essere - in modo cumulativo, come specificato nel corso dell’esame al Senato:
1. in possesso della cittadinanza italiana o di paesi facenti parte dell’Unione europea, ovvero suo familiare che sia titolare del diritto di soggiorno o del diritto di soggiorno permanente, ovvero cittadino di paesi terzi in possesso del permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo. Nel corso dell’esame al Senato, si è specificato che per il termine “familiare” suddetto si applichi la definizione di familiare di cui all'articolo 2, comma 1, lettera b), del D.Lgs. 6 febbraio 2007, n. 30 [1];
2. residente in Italia da almeno 10 anni al momento della presentazione della domanda, di cui gli ultimi due anni in modo continuativo;

Le modalità di esercizio del diritto soggiorno nel territorio nazionale dei cittadini dell’Unione europea previste dall’ordinamento sono diverse da quelle dei cittadini di Paesi terzi.


Cittadini UE

Il diritto di soggiorno dei cittadini dell’Unione europea è regolato in particolare dal D.Lgs. 30/2007, di attuazione della direttiva 2004/38/CE.

I cittadini dell'Unione europea hanno il diritto di soggiornare nel territorio nazionale per un periodo non superiore a tre mesi senza alcuna condizione o formalità, purché siano in possesso di un documento d'identità valido per l'espatrio secondo la legislazione dello Stato di cui hanno la cittadinanza. Il diritto di soggiorno si estende anche ai familiari non aventi la cittadinanza di uno Stato membro che accompagnano o raggiungono il cittadino dell'Unione, in possesso di un passaporto in corso di validità.

Per periodi superiori a tre mesi il soggiorno è ammesso, in particolare, quando il cittadino dell'Unione:
• è lavoratore subordinato o autonomo nello Stato;
• dispone per sé stesso e per i propri familiari di risorse economiche sufficienti e di un'assicurazione sanitaria;
• è iscritto presso un istituto pubblico o privato riconosciuto per seguirvi un corso di studi o di formazione professionale e dispone di risorse economiche sufficienti e di un'assicurazione sanitaria. Anche in questo caso il diritto si estende anche ai familiari, cittadini o no dell’Unione, che accompagnano un cittadino dell'Unione che ha diritto di soggiornare ai sensi dei punti precedenti. Il cittadino dell'Unione, già lavoratore subordinato o autonomo sul territorio nazionale, conserva il diritto al soggiorno se è temporaneamente inabile al lavoro - a seguito di una malattia o di un infortunio – o se è in stato di disoccupazione involontaria debitamente comprovata o se segue un corso di formazione professionale.

Ai familiari del cittadino dell'Unione non aventi la cittadinanza di uno Stato membro è rilasciata dalla questura competente per territorio di residenza la «Carta di soggiorno di familiare di un cittadino dell'Unione» con validità di 5 anni.

Il cittadino dell'Unione che ha soggiornato legalmente ed in via continuativa per cinque anni nel territorio nazionale ha diritto al soggiorno permanente non subordinato alle condizioni viste sopra. Il diritto di soggiorno permanente si perde in ogni caso a seguito di assenze dal territorio nazionale di durata superiore a due anni consecutivi.

Anche il familiare non avente la cittadinanza di uno Stato membro acquisisce il diritto di soggiorno permanente se ha soggiornato legalmente in via continuativa per cinque anni nel territorio nazionale unitamente al cittadino dell'Unione.

Una attestazione di soggiorno permanente per i cittadini dell'Unione europea è rilasciata, a richiesta dell'interessato, dal comune di residenza.

I cittadini dell'Unione e i loro familiari che hanno il diritto di soggiorno o diritto di soggiorno permanente possono esercitare qualsiasi attività economica autonoma o subordinata, escluse le attività che la legge, conformemente ai Trattati dell'Unione europea ed alla normativa comunitaria, riserva ai cittadini italiani. Inoltre, fatte salve le disposizioni espressamente previste dal Trattato CE, ogni cittadino dell'Unione che risiede nel territorio nazionale gode di pari trattamento rispetto ai cittadini italiani nel campo di applicazione del Trattato. Il beneficio di tale diritto si estende ai familiari non aventi la cittadinanza di uno Stato membro che siano titolari del diritto di soggiorno o del diritto di soggiorno permanente.

La legge prevede altresì che, in deroga al principio di parità di trattamento, il cittadino dell'Unione ed i suoi familiari non godono del diritto a prestazioni d'assistenza sociale durante i primi tre mesi di soggiorno o, comunque, in caso di ingresso per ricerca di lavoro.


Cittadini Paesi terzi

Possono soggiornare nel territorio dello Stato i cittadini stranieri provenienti da Paesi non appartenenti alla Unione europea entrati regolarmente nel territorio italiano, che siano muniti di carta di soggiorno o di permesso di soggiorno in corso di validità. La richiesta di permesso di soggiorno è effettuata alla questura competente entro 8 giorni dall’ingresso in Italia. La durata del permesso di soggiorno varia a seconda dei motivi del soggiorno; per motivi di lavoro subordinato non può essere di durata superiore a due anni (D.lgs. 286/1998, art. 5).

Alla scadenza, il permesso di soggiorno può essere rinnovato per una durata non superiore a quella stabilita con il rilascio iniziale e sempre che permangano i requisiti previsti per il rilascio.

La materia del soggiorno di lungo periodo degli stranieri provenienti da Paesi terzi è disciplinata dalla direttiva 2003/109/CE, recepita nell’ordinamento italiano dal D.Lgs. 3/2007 che ha novellato il testo unico in materia di immigrazione (D.Lgs. 286/1998, artt. 9 e 9-bis). I cittadini di Paesi terzi, soggiornanti legalmente e ininterrottamente per cinque anni nel territorio di uno Stato membro, acquistano lo status di soggiornante di lungo periodo e hanno diritto ad un permesso di soggiorno speciale detto "permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo", che ha sostituito la "carta di soggiorno", dal contenuto analogo, prevista in precedenza.

Ai fini del rilascio del permesso lo straniero deve dimostrare, salvo determinati casi, la disponibilità di un reddito non inferiore all'importo annuo dell'assegno sociale e, nel caso di richiesta relativa ai familiari, di un reddito sufficiente e di un alloggio idoneo che rientri nei parametri minimi previsti dalla legge regionale per gli alloggi di edilizia residenziale pubblica ovvero che sia fornito dei requisiti di idoneità igienico-sanitaria accertati dall'Azienda unità sanitaria locale competente per territorio.

Il permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo è a tempo indeterminato, salva revoca o perdita a date condizioni, ed è rilasciato entro novanta giorni dalla richiesta. Il permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo non può essere rilasciato agli stranieri pericolosi per l'ordine pubblico o la sicurezza dello Stato (D.lgs. n. 286/1998, art. 5).

Il permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo è rilasciato anche agli stranieri titolari dello status di protezione internazionale. Il rilascio del permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo è subordinato al superamento, da parte del richiedente, di un test di conoscenza della lingua italiana, tranne alcuni casi specificamente previsti (quale il permesso di soggiorno rilasciato per lo svolgimento di attività di ricerca e quello per lo straniero titolare di protezione internazionale).

In proposito, si ricorda che i soggiornanti di lungo periodo sono equiparati ai cittadini dello Stato membro in cui si trovano ai fini, tra l’altro, del godimento dei servizi e prestazioni sociali (art. 11 della direttiva 2003/109/CE) e che si riconosce ai titolari di permesso di soggiorno di lungo periodo di poter «usufruire delle prestazioni di assistenza sociale, di previdenza sociale, di quelle relative ad erogazioni in materia sanitaria, scolastica e sociale, di quelle relative all'accesso a beni e servizi a disposizione del pubblico, compreso l'accesso alla procedura per l'ottenimento di alloggi di edilizia residenziale pubblica, salvo che sia diversamente disposto e sempre che sia dimostrata l'effettiva residenza dello straniero sul territorio nazionale» (art. 1 del decreto legislativo 8 gennaio 2007, n. 3). Anche sulla base della normativa ora richiamata, la giurisprudenza costituzionale (si veda da ultimo la sentenza n. 106 del 2018) ha evidenziato come lo status di cittadino non sia di per sé sufficiente al legislatore per operare nei suoi confronti erogazioni privilegiate di servizi sociali rispetto allo straniero legalmente risiedente da lungo periodo. La Corte in diverse occasioni ha infatti rilevato che le politiche sociali ben possono richiedere un radicamento territoriale continuativo e ulteriore rispetto alla sola residenza (sentenza n. 432 del 2005; ordinanza n. 32 del 2008) ma ciò sempreché un tale più incisivo radicamento territoriale, richiesto ai cittadini di paesi terzi ai fini dell'accesso alle prestazioni in questione, sia contenuto entro limiti non arbitrari e irragionevoli (sentenze nn. 222 del 2013, 133/2013 e 40/2011). In particolare, al legislatore, sia statale che regionale, sarebbe consentito attuare una disciplina differenziata per l'accesso a prestazioni eccedenti i limiti dell'essenziale, al fine di conciliare la massima fruibilità dei benefici previsti con la limitatezza delle risorse economiche da destinare al maggior onere conseguente, purché i canoni selettivi adottati rispondano al principio di ragionevolezza, in quanto «è consentito [...] introdurre regimi differenziati, circa il trattamento da riservare ai singoli consociati, soltanto in presenza di una "causa" normativa non palesemente irrazionale o, peggio, arbitraria» (sentenza n. 432 del 2005). Se la determinazione del lasso di tempo necessario all'effettiva equiparazione tra cittadino e straniero residente di lungo periodo è lasciata alla discrezionalità del legislatore anche in relazione al tipo di servizio pubblico, la giurisprudenza della Corte ha ritenuto irragionevoli alcune disposizioni che richiedono come requisito necessario una permanenza nel territorio di molto superiore a quella necessaria all'ottenimento dello status di soggiornante di lungo periodo (5 anni). Con la sentenza n. 168 del 2014, in riferimento ad una legge della Regione Valle d’Aosta/Vallèe d’Aoste, la Corte ha avuto modo di affermare che «la previsione dell’obbligo di residenza da almeno otto anni nel territorio regionale, quale presupposto necessario per la stessa ammissione al beneficio dell’accesso all’edilizia residenziale pubblica (e non, quindi, come mera regola di preferenza), determina un’irragionevole discriminazione sia nei confronti dei cittadini dell’Unione, ai quali deve essere garantita la parità di trattamento rispetto ai cittadini degli Stati membri (art. 24, par. 1, della direttiva 2004/38/CE), sia nei confronti dei cittadini di Paesi terzi che siano soggiornanti di lungo periodo, i quali, in virtù dell’art. 11, paragrafo 1, lettera f), della direttiva 2003/109/CE, godono dello stesso trattamento dei cittadini nazionali per quanto riguarda anche l’accesso alla procedura per l’ottenimento di un alloggio». Da ultimo, con la sentenza 106/2018 la Corte è intervenuta sulla previsione della legge regionale della Liguria che richiedeva un periodo di residenza di 10 anni nel territorio della regione per il migrante intenzionato ad accedere all'assegnazione di un alloggio popolare rilevando in tale caso una irragionevolezza e mancanza di proporzionalità risolventesi in una forma dissimulata di discriminazione nei confronti degli extracomunitari. Per le prestazioni non rientranti all'interno dei livelli essenziali, ex art. 117, secondo comma, lett. m) della Costituzione la giurisprudenza della Corte riconosce dunque al legislatore la facoltà di sottoporre l'erogazione del beneficio allo straniero a requisiti molto stringenti, come, ad esempio, una residenza sul territorio superiore ai 5 anni ma in ogni caso il controllo a cui tali norme sono sottoposte è quello del principio di ragionevolezza piena.

Sotto una diversa angolatura ed in riferimento a differenti misure di carattere assistenziale, deve essere richiamata anche la giurisprudenza della Corte costituzionale secondo la quale, nei casi in cui si versi in tema di provvidenze destinate a fronteggiare esigenze di sostentamento della persona, qualsiasi discriminazione tra cittadini e stranieri regolarmente soggiornanti nel territorio dello Stato, fondata su requisiti diversi dalle condizioni soggettive per essere ammessi, «finirebbe per risultare in contrasto con il principio sancito dall’art. 14 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo», per come in più occasioni interpretato dalla Corte di Strasburgo (sentenza n. 187 del 2010). Con una serie di pronunce la Corte ha affrontato il tema di misure destinate a fronteggiare esigenze di sostentamento della persona e discriminazioni tra cittadini e stranieri regolarmente soggiornanti nel territorio dello Stato (ex plurimis, le sentenze nn. 230/2015; 22/2015; 40/2013; 329/2011, 187/2010, 11/2009 e 306/2008). In queste sentenze, la Corte ricorda che «qualsiasi discrimine fra cittadini e stranieri legalmente soggiornanti nel territorio dello Stato, fondato su requisiti diversi da quelli previsti per la generalità dei soggetti, finisce per risultare in contrasto con il principio di non discriminazione di cui all’art. 14 della CEDU» (sentenza n. 40 del 2013).

Nella sentenza n. 4 del 2013, in relazione a provvidenze a tutela dei non autosufficienti, la Corte ha affermato che «non è possibile presumere in modo aprioristico che stranieri non autosufficienti, titolari di un permesso di soggiorno per soggiornanti di lungo periodo - in quanto già presenti in precedenza sul territorio nazionale in base a permesso di soggiorno protratto per cinque anni - versino in stato di bisogno o disagio maggiore rispetto agli stranieri che, sebbene anch'essi regolarmente presenti nel territorio nazionale, non possano vantare analogo titolo legittimante». Pertanto, secondo la Corte «mentre è possibile subordinare, non irragionevolmente, l'erogazione di determinate prestazioni sociali, non dirette a rimediare a gravi situazioni di urgenza, alla circostanza che il titolo di legittimazione dello straniero alla permanenza nel territorio dello Stato ne dimostri il carattere non episodico e di non breve durata, una volta che il diritto a soggiornare alle predette condizioni non sia in discussione, l'accesso a una misura sociale non può essere differenziato in ragione della “necessità di uno specifico titolo di soggiorno” o di “particolari tipologie di residenza volte ad escludere proprio coloro che risultano i soggetti più esposti alle condizioni di bisogno e di disagio che un siffatto sistema di prestazioni e servizi si propone di superare perseguendo una finalità eminentemente sociale”».

Con la sentenza n. 22 del 2015, è stata dichiarata costituzionalmente illegittima la disposizione di cui all’art. 80, comma 19, della legge n. 388/2000 (Legge finanziaria 2001), nella parte in cui subordinava al requisito della titolarità della carta di soggiorno la concessione agli stranieri legalmente soggiornanti nel territorio dello Stato della pensione di cui all’art. 8 della legge 10 febbraio 1962, n. 66 (Nuove disposizioni relative all’Opera nazionale per i ciechi civili) e dell’indennità in favore dei ciechi parziali, di cui all’art. 3, comma 1, della legge 21 novembre 1988, n. 508, osservando che la specificità dei connotati invalidanti delle persone non vedenti rendeva ancora più arduo, rispetto alle altre invalidità, subordinare la fruizione del beneficio al possesso della carta di soggiorno, cioè a un requisito di carattere meramente temporale, del tutto incompatibile con la indifferibilità e la pregnanza dei relativi bisogni. Ancora, la sentenza n. 230 del 2015 ha dichiarato incostituzionale in parte qua l’art. 80, comma 19, della legge n. 388 del 2000, che condizionava la concessione agli stranieri, legalmente soggiornanti nel territorio dello Stato, della pensione di invalidità civile per sordi e della relativa indennità di comunicazione al requisito della titolarità della carta di soggiorno. La Corte ha ritenuto che tale requisito fosse censurabile sotto una pluralità di profili. L’erogazione condizionata allo straniero di «prestazioni economiche peculiari, che si fondano sull’esigenza di assicurare (…) un ausilio in favore di persone svantaggiate, in quanto affette da patologie o menomazioni fortemente invalidanti per l’ordinaria vita di relazione e, di conseguenza, per le capacità di lavoro e di sostentamento», a un requisito come quello di soggiorno di lunga durata nel territorio dello Stato, è risultata in contrasto anzitutto con il principio di uguaglianza sostanziale, perché frustrava le «esigenze di tutela che, proprio in quanto destinate al soddisfacimento di bisogni primari delle persone invalide, appaiono per sé stesse indifferenziabili e indilazionabili sulla base di criteri meramente estrinseci o formali». La norma, inoltre, comprometteva anche i doveri di solidarietà sociale, che in una prospettiva costituzionalmente orientata sono inderogabili; la tutela del diritto alla salute, «anche nel senso dell’accessibilità ai mezzi più appropriati per garantirla»; nonché una «protezione sociale più ampia e sostenibile». La Corte ha invece confermato la legittimità della scelta di condizionare l’erogazione della pensione di invalidità in esame alla «presenza di condizioni reddituali limitate, tali, perciò, da configurare la medesima come misura di sostegno per le indispensabili necessità di una vita dignitosa», nonché all’accertamento che il soggiorno dello straniero «risulti, oltre che regolare, non episodico né occasionale».


Requisito del reddito e del patrimonio

Il nucleo familiare deve possedere:

1) un valore dell’Indicatore della Situazione Economica Equivalente (ISEE) inferiore a 9.360 euro; A questo proposito, il comma 7 dell’articolo in esame, stabilisce che, ai soli fini dell’accertamento dei requisiti per il mantenimento del Rdc, al valore dell’ISEE di cui al comma 1, lettera b), numero 1), è sottratto l’ammontare del Rdc percepito dal nucleo beneficiario eventualmente incluso nell’ISEE, rapportato al corrispondente parametro della scala di equivalenza. Per l’accesso al Rdc, sono parimenti sottratti, nelle medesime modalità, gli ammontari eventualmente inclusi nell’ISEE relativi alla fruizione del sostegno per l’inclusione attiva, del reddito di inclusione ovvero delle misure regionali di contrasto alla povertà oggetto d’intesa tra la regione e il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, al fine di una erogazione integrata con le citate misure nazionali.

2) un valore del patrimonio immobiliare, come definito a fini ISEE, diverso dalla casa di abitazione, non superiore ad una soglia di euro 30.000;

3) un valore del patrimonio mobiliare, come definito a fini ISEE, non superiore a una soglia di euro 6.000, accresciuta di euro 2.000 per ogni componente il nucleo familiare successivo al primo, fino ad un massimo di euro 10.000, incrementato di ulteriori euro 1.000 per ogni figlio successivo al secondo; i predetti massimali sono ulteriormente incrementati di euro 5.000 per ogni componente con disabilità, come definita a fini ISEE, presente nel nucleo;

4) un valore del reddito familiare inferiore ad una soglia di euro 6.000 annui moltiplicata per il corrispondente parametro della scala di equivalenza di cui al comma 4. La predetta soglia è incrementata ad euro 7.560 ai fini dell’accesso alla Pensione di cittadinanza. In ogni caso la soglia è incrementata a 9.360 euro nei casi in cui il nucleo familiare risieda in abitazione in locazione, come da dichiarazione sostitutiva unica ai fini ISEE.

Il comma 1-bis, inserito nel corso dell’esame al Senato, dispone che i cittadini di Stati non appartenenti all'Unione europea - fatte salve le eccezioni di cui al successivo comma 1-ter, anch’esso inserito al Senato - debbano produrre, ai fini del conseguimento del Reddito di cittadinanza, una certificazione, rilasciata dalla competente autorità dello Stato estero, sui requisiti di reddito e patrimoniali e sulla composizione del nucleo familiare. La certificazione deve essere presentata in una versione tradotta in lingua italiana e legalizzata dall'autorità consolare italiana (che ne attesta la conformità all'originale). In base al comma 1- ter, sono esclusi dall'obbligo suddetto di certificazione:
- i soggetti aventi lo status di rifugiato politico. Sembrerebbe opportuna una più chiara definizione di tale fattispecie, considerato che la normativa reca una nozione generale di rifugiato [2];
- i casi in cui le convenzioni internazionali dispongano diversamente;
- i soggetti nei cui Paesi di appartenenza sia impossibile acquisire le certificazioni (la definizione dell'elenco di tali Paesi è demandata ad un decreto ministeriale).

Ai sensi del comma 4 dell’articolo in esame, il parametro della scala di equivalenza, di cui al comma 1, lettera b), numero 4, è pari ad 1 per il primo componente del nucleo familiare ed è incrementato di 0,4 per ogni ulteriore componente di età maggiore di anni 18 e di 0,2 per ogni ulteriore componente minorenne, fino ad un massimo di 2,1. Per un'ipotesi specifica di riduzione del parametro, cfr. infra, sub il comma 3.

Il comma 6 dell’articolo in esame, precisa, altresì, che, ai soli fini del Rdc, il reddito familiare, di cui al comma 1, lettera b) numero 4), è determinato [3] al netto dei trattamenti assistenziali eventualmente inclusi nell’ISEE ed inclusivo del valore annuo dei trattamenti assistenziali in corso di godimento da parte dei componenti il nucleo familiare, fatta eccezione per le prestazioni non sottoposte alla prova dei mezzi (non correlate, in sostanza, alla condizione di reddito personale e familiare).

Nel valore dei trattamenti assistenziali non rilevano le erogazioni riferite al pagamento di arretrati, le riduzioni nella compartecipazione al costo dei servizi e le esenzioni e agevolazioni per il pagamento di tributi, le erogazioni a fronte di rendicontazione di spese sostenute, ovvero le erogazioni in forma di buoni servizio o altri titoli che svolgono la funzione di sostituzione di servizi. Ai fini del decreto, non si include tra i trattamenti assistenziali l’assegno di cui all’articolo 1, comma 125, della legge n. 190 del 2014 [4]. I trattamenti assistenziali in corso di godimento di cui al primo periodo sono comunicati dagli enti erogatori entro quindici giorni dal riconoscimento al Sistema informativo unitario dei servizi sociali (SIUSS), di cui all’articolo 24 del decreto legislativo n. 147 del 2017 [5], secondo le modalità ivi previste.

Si ricorda che l’Indicatore della situazione patrimoniale (Isee), istituito dal D.Lgs. 109/1998, è l'indicatore che serve per valutare e confrontare la situazione economica dei nuclei familiari che intendono richiedere una prestazione sociale agevolata. L'accesso a queste prestazioni, infatti, come ai servizi di pubblica utilità a condizioni agevolate (telefono fisso, luce, gas, ecc.) è legato al possesso di determinati requisiti soggettivi e alla situazione economica della famiglia.

Il decreto-legge Salva Italia (art. 5, D.L. 201/2011) ha previsto la riforma dell'indicatore con l’obiettivo di rendere più corretta la misurazione della condizione economica delle famiglie, e quindi migliorare l'equità nell'accesso alle prestazioni. Il D.P.C.M. 5 dicembre 2013, n. 159 di revisione dell'Indicatore è entrato in vigore l'8 febbraio 2014 e il Decreto 7 novembre 2014 del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, di approvazione del modello tipo della Dichiarazione Sostitutiva Unica a fini ISEE, dell'attestazione, nonché delle relative istruzioni per la compilazione ha reso pienamente operativa la riforma dell'ISEE a partire dal 1° gennaio 2015.

Il nuovo ISEE ha conseguentemente introdotto le seguenti disposizioni innovative:
• nella nozione di reddito sono stati inclusi – a fianco del reddito complessivo ai fini IRPEF – tutti i redditi tassati con regimi sostitutivi o a titolo di imposta (quali cedolare secca sugli affitti, premi di produttività) e tutti i redditi esenti, compresi tutti i trasferimenti monetari ottenuti dalla Pubblica Amministrazione, quali: assegni al nucleo familiare, pensioni di invalidità, assegno sociale, indennità di accompagnamento; i redditi figurativi degli immobili non locati e delle attività mobiliari. Viceversa sono sottratte, dalla somma dei redditi, spese e franchigie riferite al nucleo familiare;
• per quanto riguarda la componente patrimoniale, riferita ai costi dell'abitare: il valore della prima casa è stato abbattuto a due terzi e ed è stato considerato solo il valore dell'immobile eccedente il valore del mutuo ancora in essere;
• la scala di equivalenza è stata modificata con un ammontare crescente al numero di figli;
• con riferimento alla disabilità: sono state introdotte tre distinte classi di disabilità - media, grave e non autosufficienza - e franchigie che corrispondono a diversi trattamenti economici. Più in particolare, per le persone con disabilità media è stata prevista una franchigia pari a 4.000 euro, incrementate a 5.500 se il disabile è minorenne; per le persone con disabilità grave, è stata prevista una franchigia pari a 5.500 euro, incrementata a 7.500 se minorenne; per persone non autosufficienti, è stata prevista una franchigia pari a 7.000 euro, incrementata a 9.500 euro se minorenne;
• per quanto riguarda le prestazioni agevolate di natura sociosanitaria: si è prevista la possibilità per il disabile adulto convivente con la famiglia di origine, di costituire nucleo anagrafico a sé stante;
• è stato introdotto l'ISEE corrente, riferito ad un periodo di tempo più ravvicinato, in caso di variazioni significative in corso d'anno dell'indicatore della situazione reddituale dovute a modifiche della situazione lavorativa (licenziamenti/cassa integrazione);
• per le prestazioni agevolate rivolte a beneficiari minorenni: è stato stabilito il principio secondo il quale il genitore non convivente nel nucleo familiare, non coniugato con l'altro genitore, che abbia riconosciuto il figlio, fa parte del nucleo familiare del figlio, a meno che non sia coniugato con persona diversa dall'altro genitore o vi sia legale separazione;
• per le prestazioni erogate nell'ambito del diritto allo studio universitario: sono di regola considerati come facenti parte dello stesso nucleo familiare i genitori dello studente richiedente non conviventi, salvo eccezioni, puntualmente enunciate;
• il sistema dei controlli sulla veridicità dei dati utili per il calcolo ISEE è stato rafforzato affidando un ruolo centrale all'INPS che, al fine di rilevare la veridicità di quanto autocertificato dai cittadini, può avvalersi di controlli incrociati con le banche dati dell'Agenzia delle Entrate e degli archivi amministrativi delle altre amministrazioni pubbliche. In relazione ai dati autodichiarati, l'Agenzia delle entrate, sulla base di controlli automatici, individua e rende disponibili all'INPS, l'esistenza di omissioni o difformità.

Successivamente l'articolo 2-sexies del decreto-legge 29 marzo 2016, n. 42 ha introdotto transitoriamente una nuova modalità di calcolo dell’indicatore della situazione economica equivalente relativo ai nuclei familiari con componenti con disabilità, anche ai fini del riconoscimento di prestazioni scolastiche agevolate, in attesa dell’adozione delle modifiche al regolamento vigente volte a recepire le recenti sentenze del Consiglio di Stato. Per tali soggetti, il calcolo è effettuato escludendo dal reddito disponibile ai fini ISEE, tutti i trattamenti della pubblica amministrazione già esenti dalla tassazione ai fini IRPEF, percepiti in ragione della condizione di disabilità e prevedendo un unico parametro di maggiorazione della scala di equivalenza con riferimento alle spese e alle franchigie per i soggetti disabili o non autosufficienti, indipendentemente dalla loro età anagrafica. Per i soggetti che percepiscono i predetti trattamenti per ragioni diverse dalla condizione di disabilità viene stabilita, inoltre, anche con riferimento a prestazioni per il diritto allo studio universitario, una specifica modalità di calcolo ai fini ISEE da parte degli enti erogatori, per l’accertamento dei requisiti economici soggettivi che danno diritto al mantenimento dei benefici. Da ultimo, con il comunicato del 13 febbraio del 2018, la Presidenza del Consiglio dei Ministri - Dipartimento per le politiche della famiglia ha rivalutato per l'anno 2018 la misura e i requisiti economici dell'assegno per il nucleo familiare numeroso e dell'assegno di maternità, rispettivamente pari a 142,85 euro (valore dell'indicatore della situazione economica equivalente non superiore a 8.650,11 euro) e a 342,62 euro (valore dell'indicatore della situazione economica equivalente non superiore a 17.141,45 euro). Per una ricognizione dettagliata della disciplina dell’indicatore della situazione patrimoniale si rinvia alla scheda di lettura Riforma ISEE del Servizio Studi della Camera dei deputati e alle schede presenti sulla pagina web ISEE del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali


Requisito del godimento dei beni durevoli

Con riferimento a questo requisito:
- nessun componente il nucleo familiare deve essere intestatario a qualunque titolo o avente piena disponibilità di autoveicoli immatricolati la prima volta nei sei mesi antecedenti la richiesta, ovvero di autoveicoli di cilindrata superiore a 1.600 cc, nonché motoveicoli di cilindrata superiore a 250 cc, immatricolati la prima volta nei due anni antecedenti, fatti salvi gli autoveicoli e i motoveicoli per cui è prevista una agevolazione fiscale in favore delle persone con disabilità ai sensi della disciplina vigente;
- nessun componente deve essere intestatario a qualunque titolo o avente piena disponibilità di navi e imbarcazioni da diporto di cui all’articolo 3, comma 1, del decreto legislativo 18 luglio 2005, numero 171 [6].

Con Regolamento emanato ai sensi dell’articolo 17, comma 1, della legge 23 agosto 1988, n. 400 sarà, infine, possibile integrare i casi di accesso alla misura, “in caso di eccedenza di risorse”, sulla base di indicatori di disagio socioeconomico, prevedendo anche misure a carattere non monetario in funzione di agevolazione all’uso del trasporto pubblico, di sostegno alla casa, alla istruzione e alla tutela della salute (comma 2).

Secondo la versione originaria del comma 3 del presente articolo 2, sono esclusi dal diritto al Reddito di cittadinanza i nuclei familiari che abbiano tra i componenti soggetti disoccupati a seguito di dimissioni volontarie, con riferimento ai dodici mesi successivi alla data delle dimissioni e fatte salve le dimissioni per giusta causa. Come disposto nel corso dell’esame al Senato, fermo restando il periodo di tempo in oggetto, l'esclusione viene limitata al componente disoccupato (del nucleo familiare) che abbia presentato le dimissioni volontarie, riducendo nella misura di 0,4 punti il parametro della scala di equivalenza di cui al comma 4. Con riferimento alla definizione di “nucleo familiare”, il comma 5 dell’articolo stabilisce che, ai fini dell’accesso alla misura, il nucleo familiare è definito ai sensi dell’articolo 3 del decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri n. 159 del 2013 e che, in ogni caso, anche per la richiesta di prestazioni sociali agevolate diverse dal Rdc, ai fini della definizione del nucleo familiare, valgono le seguenti disposizioni, la cui efficacia cessa dal giorno di entrata in vigore delle corrispondenti modifiche del decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri n. 159 del 2013:
a) i coniugi permangono nel medesimo nucleo anche a seguito di separazione o divorzio, qualora continuino a risiedere nella stessa abitazione. Nel corso dell’esame al Senato è stato disposto che, qualora la separazione o il divorzio sia avvenuto successivamente al 1° settembre 2018, l'eventuale cambio di residenza sia certificato da apposito verbale della polizia locale;
b) il figlio maggiorenne non convivente con i genitori fa parte del nucleo familiare dei genitori esclusivamente quando è di età inferiore a 26 anni, è nella condizione di essere a loro carico a fini IRPEF, non è coniugato e non ha figli.

Infine, si stabilisce (comma 8) che il Rdc è compatibile con il godimento della NASpI, di cui all’articolo 1 del decreto legislativo 4 marzo 2015, n.22, e di altro strumento di sostegno al reddito per la disoccupazione involontaria ove ricorrano le condizioni di cui al presente articolo. Ai fini del diritto al beneficio e della definizione dell’ammontare del medesimo, gli emolumenti percepiti rilevano secondo quanto previsto dalla disciplina dell’ISEE.

Si ricorda, brevemente, che la NASpI (Nuova prestazione di Assicurazione Sociale per l'Impiego) è uno strumento di sostegno al reddito istituito dal D.Lgs. 4 marzo 2015, n. 22. In particolare, l'art. 3, comma 1, lettere b) e c) è riconosciuta ai lavoratori dipendenti (con esclusione dei dipendenti a tempo indeterminato delle pubbliche amministrazioni, nonché degli operai agricoli a tempo determinato o indeterminato) che abbiano perso involontariamente la propria occupazione e che presentino congiuntamente i seguenti requisiti:
• stato di disoccupazione;
• almeno 13 settimane di contribuzione nei 4 anni precedenti l'inizio del periodo di disoccupazione;
• 30 giornate di lavoro effettivo, a prescindere dal minimale contributivo, nei 12 mesi che precedono l'inizio del periodo di disoccupazione.

Qualora sussistano tali requisiti, il trattamento NASpI spetta anche ai lavoratori per i quali la contribuzione dovuta non sia stata versata, in base al cosiddetto principio di automaticità delle prestazioni (cfr. il paragrafo 2.2 della circolare INPS n. 94 del 12 maggio 2015) [1].

Ai percettori di NASpI privi di occupazione da almeno quattro mesi, l’art. 23, c. 1, del D.Lgs. 150/2015 riconosce la fruizione dell’Assegno di ricollocazione.


(…)
 

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Note:

1) In base a tale norma, rientrano nella nozione di familiare: 1) il coniuge; 2) il partner che abbia contratto con il cittadino dell'Unione un'unione registrata sulla base della legislazione di uno Stato membro, qualora la legislazione dello Stato membro ospitante equipari l'unione registrata al matrimonio e nel rispetto delle condizioni previste dalla pertinente legislazione dello Stato membro ospitante; 3) i discendenti diretti di età inferiore a 21 anni o a carico e quelli del coniuge o partner summenzionati; 4) gli ascendenti diretti a carico e quelli del coniuge o partner summenzionati.

2) Cfr. l'art. 2, comma 1, lettere d) ed e), del D.Lgs. 28 gennaio 2008, n. 25.

3) Ai sensi dell’articolo 4, comma 2, del decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri n. 159 del 2013

4) L'articolo 1, comma 125, della legge n. 190 del 2014 ha introdotto, per ogni figlio nato o adottato dal 1° gennaio 2015 fino al 31 dicembre 2019 (termine così prorogato, da ultimo, dall'art. 23-quater del decreto legge 119/2018), il riconoscimento di un assegno di importo annuo di 960 euro a condizione che il nucleo familiare abbia un ISEE non superiore a 25.000 euro annui (1.920 euro per le famiglie con ISEE non superiore a 7.000 euro) erogato mensilmente a decorrere dal mese di nascita o adozione. L’importo dell’assegno è incrementato del 20% per le nascite e adozioni intervenute nel 2019 relativamente ai figli successivi al primo, quindi sarà pari a 2.304 euro fino a 7.000 euro ISEE e 1.152 euro tra 7 e 25 mila euro ISEE. L’assegno attualmente spetta: fino al compimento del primo anno di età o nel primo anno di ingresso nel nucleo familiare (in luogo del terzo anno, come precedentemente previsto fino al 2017); per i figli di cittadini italiani o di uno Stato membro dell'Unione europea o di cittadini di Stati extracomunitari con permesso di soggiorno.

5) Il SIUSS è istituito presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, per le seguenti finalità: a) assicurare una compiuta conoscenza dei bisogni sociali e delle prestazioni erogate dal sistema integrato degli interventi e dei servizi sociali e di tutte le informazioni necessarie alla programmazione, alla gestione, al monitoraggio e alla valutazione delle politiche sociali; b) monitorare il rispetto dei livelli essenziali delle prestazioni; c) rafforzare i controlli sulle prestazioni indebitamente percepite; d) disporre di una base unitaria di dati funzionale alla programmazione e alla progettazione integrata degli interventi mediante l'integrazione con i sistemi informativi sanitari, del lavoro e delle altre aree di intervento rilevanti per le politiche sociali, nonché con i sistemi informativi di gestione delle prestazioni già nella disponibilità dei comuni; e) elaborare dati a fini statistici, di ricerca e di studio.

6) La norma citata reca disposizioni in ordine alla definizione delle costruzioni destinate alla navigazione da diporto.