Manifesto dei sindaci italiani per l’accoglienza
Noi Sindaci italiani affrontiamo il dovere morale e civile di dare accoglienza a coloro che fuggono dalle emergenze umanitarie in memoria dei 24 milioni di italiani emigrati in terra straniera a cavallo tra il XIX e il XX secolo e con il pensiero rivolto ai quasi 5 milioni di cittadini italiani che vivono fuori dal nostro Paese: l’Italia sa cosa significa dover lasciare la propria terra per un futuro incerto.
Nell’operare a favore dell’integrazione, intendiamo contribuire alla costruzione di un’Europa in cui le bambine e i bambini portino con orgoglio la memoria della storia e dei luoghi di origine dei loro nonni e dei loro genitori e, allo stesso tempo, siano fieri di essere cittadini Europei.
Un’Europa moderna e aperta al futuro, libera dalle paure, fondata sulla valorizzazione dei talenti e del merito, solidale nei confronti del mondo che più soffre e garante di libertà e di democrazia.
L’impegno dei Sindaci va in questa direzione, nella consapevolezza che l’azione quotidiana delle istituzioni richiede uno sguardo lungo, rivolto non solo all’oggi ma al domani e al dopodomani.
Nel rispondere alla sfida epocale che la protezione dei richiedenti asilo e le migrazioni ci pongono davanti, riconosciamo nel ruolo dei Sindaci la grande responsabilità di trasformare le parole e gli atti della politica in gesti quotidiani e in scelte amministrative concrete, e di saperle raccontare e condividere con la cittadinanza, diventando così operatori di pace.
Per dare piena concretezza a queste parole, è necessario partire da un assunto: ognuno secondo le proprie possibilità e secondo giustizia.
Ciò significa:
- collaborare alla costruzione di corridoi umanitari e programmi di reinsediamento che permettano a chi fugge di raggiungere i nostri territori senza mettere a repentaglio la propria vita e senza arricchire le reti dei trafficanti, partendo dalla consapevolezza che, oggi, il 98% delle persone in fuga da emergenze umanitarie sono accolte fuori dai confini dell’Unione Europea (Turchia, Pakistan, Libano, Iran ed Etiopia sono i primi cinque Paesi per numero di persone accolte);
- organizzare l’accoglienza sostenibile attraverso i Comuni e secondo modalità diffuse, per piccoli numeri, proporzionati alla popolazione residente. Sono, questi, fattori che garantiscono sostenibilità, sicurezza e legalità per le comunità che accolgono e per le persone accolte, che permettono ai Sindaci di essere costruttori di ponti e non di muri;
- dare massima priorità alla tutela delle persone più vulnerabili, a partire dai minori stranieri non accompagnati e dalle persone vittime di tratta e sfruttamento;
- porre il rispetto della legalità a fondamento dell’accoglienza e dell’accesso al lavoro e all’abitazione come elementi condizionanti i percorsi di autonomia: far crescere in Italia una rinnovata etica pubblica nella gestione delle strutture di accoglienza e nella lotta al lavoro nero e alle speculazioni sul mercato abitativo;
- dare la massima priorità alla conoscenza della lingua italiana come essenziale strumento di emancipazione e di agevolazione della coesione sociale e quindi, in buona sostanza, di integrazione;
- riconoscere che una delle cause di fuga sono i disastri ambientali e quindi, coerentemente, riconoscere un ruolo cruciale alle politiche di risparmio energetico e di eco sostenibilità, a partire dalle città.
- garantire in ogni momento alle persone in fuga e accolte nei nostri territori, a titolo volontario e quando la situazione lo renderà possibile, la possibilità di avvalersi di un sostegno alla loro reintegrazione nei paesi di origine in modo da contribuire al processo di ricostruzione economica e sociale del loro paese.
Volgendo con decisione lo sguardo verso il futuro, non possiamo non concludere con l’assunzione di un impegno deciso e convinto a favore delle seconde generazioni.
Le persone sono la più grande risorsa di cui ogni Paese dispone.
Abbiamo l’obbligo di fare in modo che le “seconde” e le “terze generazioni” possano contribuire a tutti gli effetti alla crescita e allo sviluppo di quella che sarà, a pieno titolo, la loro patria.
I figli e i nipoti dei migranti di prima generazione possono essere il cemento per la costruzione di una compiuta, consapevole e matura società multiculturale, già presente nei fatti. Oppure, al contrario, diventare il punto di rottura di un equilibrio reso precario dalla convivenza di ragazzi con gli stessi bisogni, sogni e aspettative, ma con diritti e possibilità nettamente diversi. Sono le istituzioni a poter fare la differenza e le istituzioni più vicine a tutti i cittadini, anche ai nuovi cittadini, scelgono di essere punto di riferimento per frenare le marginalità e le discriminazioni.