L’impatto fiscale dell’immigrazione. Rapporto annuale sull’economia dell’immigrazione.

Fondazione Leone Moressa
Comunicato stampa del 12 ottobre 2016


 

Gli stranieri che lavorano in Italia producono 127 miliardi di ricchezza, paragonabile al fatturato del gruppo Fiat, o al Valore Aggiunto prodotto dall’industria automobilistica tedesca. Il contributo economico dell’immigrazione si traduce in quasi 11 miliardi di contributi previdenziali pagati ogni anno, in 7 miliardi di Irpef versata, in oltre 550 mila imprese straniere che producono ogni anno 96 miliardi di valore aggiunto. Di contro, la spesa destinata agli immigrati è pari al 2% della spesa pubblica italiana (15 miliardi: molto meno, ad esempio, dei 270 miliardi per le pensioni).
Per mantenere i benefici attuali anche nel lungo periodo, sarà necessario aumentare la produttività degli stranieri, non relegandoli a basse professioni.
 
Questi i principali risultati presentati dalla Fondazione Leone Moressa con la sesta edizione del Rapporto annuale sull’economia dell’immigrazione, pubblicato con il contributo della CGIA di Mestre e con il patrocinio di OIM e MAECI [1] e che verrà presentato domani alle ore 12.00 al Viminale. L’edizione 2016, “L’impatto fiscale dell’immigrazione”, si focalizza sul contributo della componente straniera alle casse pubbliche.
 
Nel nostro Paese l’immigrazione è sempre più importante. Dal punto di vista demografico, nel 2015, gli italiani in età lavorativa rappresentano il 63,2%, mentre tra gli stranieri la quota raggiunge il 78,1%. Dal punto di vista economico, la ricchezza prodotta dagli stranieri in termini di valore aggiunto nel 2015 è pari a 127 miliardi [2] (8,8% del valore aggiunto nazionale), di poco inferiore al fatturato del “gruppo Fiat” (Exor, fatturato pari a 136 miliardi). Valore simile anche al valore aggiunto prodotto dal comparto tedesco della fabbricazione di veicoli. Tuttavia, mentre in questo comparto la produttività per occupato supera i 135 mila euro, nel caso degli immigrati il v.a. per occupato è di poco superiore ai 50 mila.
 
Il reale problema sembra quindi essere la produttività. Il tasso di occupazione degli stranieri è nettamente maggiore a quello degli italiani, ma nella maggior parte dei casi (66%) si tratta di lavori a bassa qualifica, che trovano solo in parte giustificazione dal basso titolo di studio della popolazione straniera. Questa situazione si traduce in differenziali di stipendio e reddito molto alti tra la popolazione straniera e quella italiana, e quindi anche in tasse più basse versate. Solo di Irpef la differenza pro-capite tra italiani e stranieri è di 2 mila euro.
 
Tuttavia, la migrazione continua a portare benefici al “Sistema Italia”. Uno dei primi benefici dell’immigrazione sono i contributi pensionistici versati dagli stranieri occupati. Nel 2014 i contributi previdenziali hanno raggiunto quota 10,9 miliardi. Ripartendo il volume complessivo per i redditi da pensioni medi, si può calcolare che i contributi dei lavoratori stranieri equivalgono a 640 mila pensioni italiane. A questo vanno aggiunto il gettito Irpef complessivo pagato dai contribuenti stranieri (l’8,7% del totale contribuenti) pari a 6,8 miliardi.
Significativo anche lo sviluppo dell’imprenditoria straniera: nel 2015 si contano 656 mila imprenditori immigrati e 550 mila imprese a conduzione straniera (il 9,1% del totale). Negli ultimi anni (2011/2015), mentre le imprese condotte da italiani sono diminuite (-2,6%), quelle condotte da immigrati hanno registrato un incremento significativo +21,3%. Queste aziende contribuiscono, con 96 miliardi di euro, alla creazione del 6,7% del Valore Aggiunto nazionale.
 
Osservando la spesa pubblica rivolta all’immigrazione, i settori più rilevanti sono welfare e sicurezza. L’analisi a costi standard evidenzia come il costo degli stranieri sia inferiore al 2% della spesa pubblica.


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Note:

1) Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale
2) Il calcolo del “PIL dell’immigrazione” è stato realizzato a partire dal Valore Aggiunto prodotto dagli occupati in Italia, ipotizzando che a parità di settore e regione la produttività degli occupati stranieri sia uguale a quella degli italiani.

 

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