Servizio studi del Senato
Nota su atti dell'Unione europea n. 22/DE del marzo 2016
Premessa
Il 3 marzo 2016, a Bruxelles, presso la Commissione FEMM – Diritti delle donne e eguaglianza di genere del Parlamento europeo, in occasione della Giornata internazionale della donna, si svolgerà una riunione interparlamentare sul tema delle donne rifugiate e richiedenti asilo.
La Commissione FEMM è competente per:
la definizione, la promozione e la tutela dei diritti della donna nell'Unione europea e le misure adottate dalla Comunità al riguardo;
la promozione dei diritti della donna nei paesi terzi;
la politica in materia di pari opportunità, compresa la promozione della parità tra uomini e donne per quanto riguarda le opportunità nel mercato del lavoro ed il trattamento sul lavoro;
l'eliminazione di ogni forma di violenza e di discriminazione fondata sul sesso;
la realizzazione e l'ulteriore sviluppo dell'integrazione della dimensione di genere ("gender mainstreaming") in tutti i settori;
il seguito dato agli accordi e alle convenzioni internazionali aventi attinenza con i diritti della donna;
la promozione della sensibilizzazione sui diritti delle donne.
La riunione dovrebbe articolarsi in tre workshop:
la violenza contro le donne rifugiate e richiedenti asilo;
dimensione di genere e salute: la situazione delle rifugiate e delle richiedenti asilo;
l’integrazione delle donne rifugiate.
Si segnala che l’8 marzo 2016 l’Assemblea plenaria del Parlamento europeo dovrebbe esaminare un progetto di risoluzione di iniziativa sulla situazione delle donne rifugiate e richiedenti asilo (vedi infra).
Schede di lettura
Le dimensioni del fenomeno migratorio in Europa
Nel rapporto “World at war. UNHCR Global Trends. Forced displacements in 2014”, dell’UNHCR si rileva che nel 2014 metà della popolazione mondiale di rifugiati era costituita da donne e ragazze.
Inoltre, secondo l’UNHCR, nel 2015 in Europa sarebbero arrivati lungo le rotte del Mediterraneo (soprattutto quello orientale e centrale) 1.015.000 migranti: di questi il 17 per cento sarebberodonne adulte, il 58 per cento uomini, e il 25 per cento minori.
L’UNHCR ha inoltre stimato che dal 1° gennaio al 23 febbraio 2016 in Europa sono arrivate attraversando il Mediterraneo circa 105 mila persone, composte per il 20 per cento da donne adulte, per il 46 per cento da uomini e 34 per cento da minori.
Per quanto riguarda gli arrivi in Italia, nel 2015 la componente delle donne adulte si attesta al 14 per cento (circa 20 mila su oltre 150 mila complessivi), gli uomini sono il 75 per cento, e iminori (accompagnati e non) sono l’11 per cento.
L’UNHCR ha diffuso anche il dato relativo alla composizione per genere dei migranti in Grecia relativa al periodo 1° giugno 2015 – 16 gennaio 2016: emerge una componente più alta delle donne adulte (21 per cento) e soprattutto un trend delle donne migranti in crescita. Le differenze di genere nei flussi migratori sembrano dipendere dal diverso peso che hanno determinate nazionalità nelle rotte verso l’Europa.
Ad esempio, nel caso della rotta del Mediterraneo orientale (dalla Turchia alla Grecia) ad una più forte componente dei cittadini siriani corrisponderebbe una maggiore presenza delle donne. Si ricorda infatti che nel gennaio del 2016 la componente delle donne adulte tra i migranti siriani in Grecia (la principale nazionalità che sta percorrendo la rotta del Mediterraneo orientale, dalla Turchia alla Grecia) si attesta al 24 per cento (36 per cento gli uomini, 40 per cento i minori).
Asilo
Eurostat ha recentemente pubblicato i dati relativi alle richieste dì asilo nell’UE nell’arco dell’intero 2015, comprensivi delle distinzioni per genere.
In particolare, a fronte del dato complessivo per il 2015 di un milione e 23 mila domande di prima istanza di protezione internazionale (ovvero domande presentate per la prima volta), le richieste di asilo presentate dalle donne (sia adulte che minori) risultano 272 mila (nel 2014 su 562 mila domande di prima istanza di asilo 164 mila erano da parte di donne e ragazze).
Per quanto riguarda i dati relativi all’accoglimento delle domande di asilo di prima istanza, secondo Eurostat nel 2015 è stata concessa una delle forme di protezione internazionale (lo status di rifugiato ai sensi della Convenzione di Ginevra, la protezione temporanea, la protezione per motivi umanitari e la protezione sussidiaria) a 238 mila persone; di queste 63 mila e 550 sono donne e ragazze.
La dimensione di genere nel diritto dell’UE in materia di asilo
L’articolo 78 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea prevede che l’Unione sviluppi una politica comune in materia di asilo, di protezione sussidiaria e di protezione temporanea, volta a offrire uno status appropriato a qualsiasi cittadino di un paese terzo che necessita di protezione internazionale e a garantire il rispetto del principio di non respingimento. Detta politica deve essere conforme alla convenzione di Ginevra del 28 luglio 1951 e al protocollo del 31 gennaio 1967 relativi allo status dei rifugiati, e agli altri trattati pertinenti.
Secondo la medesima disposizione, il Parlamento europeo e il Consiglio, deliberando secondo la procedura legislativa ordinaria, adottano le misure relative a un sistema europeo comune di asilo che includa, tra l’altro:uno status uniforme in materia di asilo a favore di cittadini di paesi terzi, valido in tutta l'Unione; procedure comuni per l'ottenimento e la perdita dello status uniforme in materia di asilo o di protezione sussidiaria; criteri e meccanismi di determinazione dello Stato membro competente per l'esame di una domanda d'asilo o di protezione sussidiaria; norme concernenti le condizioni di accoglienza dei richiedenti asilo o protezione sussidiaria.
La Carta europea dei diritti fondamentali all’articolo 18, garantisce il diritto di asilo come stabilito dalle norme internazionali richiamate, e nel rispetto dei Trattati.
Negli ultimi anni, l’Unione europea ha completato il cosiddetto sistema europeo comune di asilo, che si articola nei seguenti atti normativi:
Si tratta in particolare:
della direttiva “procedure” (2013/32/UE): procedure comuni ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di protezione internazionale;
della direttiva “accoglienza” (2013/33/UE): norme relative all’accoglienza dei richiedenti protezione internazionale;
del regolamento (604/2013) circa i criteri e i meccanismi di determinazione dello Stato membro competente per l’esame di una domanda di protezione internazionale) (sistema cosiddetto Dublino);
del regolamento sul sistema Eurodac (603/2013): sistema di confronto delle impronte digitali per l'efficace applicazione del nuovo regolamento Dublino, e per le richieste di confronto con i dati Eurodac presentate dalle autorità di contrasto degli Stati membri e da Europol a fini di contrasto;
della direttiva “qualifiche” (2011/95/UE): norme sull’attribuzione, a cittadini di paesi terzi o apolidi, della qualifica di beneficiario di protezione internazionale, su uno status uniforme per i rifugiatio per le persone aventi titolo a beneficiare della protezione sussidiaria, nonché sul contenuto della protezione riconosciuta (rifusione) approvata il 13 dicembre 2011
La Direttiva Qualifiche
Nella legislazione UE lo status di rifugiato può essere concesso alle donne a vario titolo. La dimensione di genere è infatti uno degli aspetti che devono essere presi in considerazione quando si valutano le posizioni individuali dei richiedenti.
In particolare l’articolo 9 della direttiva qualifiche considera atti persecutori ai sensi della Convenzione di Ginevra (di conseguenza costituiscono titolo per la concessione dello status di rifugiato), tra l’altro la violenza fisica, psicologica e sessuale, nonché gli atti specificamente diretti contro un sesso.
Inoltre l’articolo 4 della medesima direttiva prevede che l’esame della domanda di protezione internazionale debba includere la valutazione, tra l’altro, della situazione individuale e delle circostanze personali del richiedente, in particolare l’estrazione, il sesso e l’età, al fine di valutare se, in base alle circostanze personali del richiedente, gli atti a cui è stato o potrebbe essere esposto si configurino come persecuzione o danno grave.
Ai sensi dell’articolo 10 della direttiva la dimensione di genere (l’identità di genere come anche l’orientamento sessuale) può costituire caratteristica di appartenenza ad un gruppo sociale particolare esposto ad atti di persecuzione, tale da giustificare la concessione dello status di rifugiato.
Basandosi su tali precetti normative gli Stati membri dovrebbero quindi assicurare che la violenza per motivi di genere, incluse la violenza domestica e la pratica delle mutilazioni genitali femminili (ad esempio l’infibulazione) siano presi in considerazioni come atti persecutori.
Nel caso in cui una donna non presenti i requisiti per la concessione dello status di rifugiato ai sensi della Convenzione di Ginevra, ella può ottenere lo status di protezione sussidiaria(1) ai sensi dell’articolo 15 della direttiva qualifiche.
Tale disposizione descrive il tipo di danno grave che il richiedente protezione deve dimostrare per ottenere la concessione di tale particolare status. Le fattispecie indicate dalla disposizione sono: a) la condanna o l’esecuzione della pena di morte; b) la tortura o altra forma di pena o trattamento inumano o degradante ai danni del richiedente nel suo paese di origine; c) la minaccia grave e individuale alla vita o alla persona di un civile derivante dalla violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale.
Si tratta di ipotesi che possono riguardare frequentemente donne e ragazze, come è il caso di sequestri e violenze sessuali perpetrati in Paesi in cui sussistono instabilità politica o guerre civili; è altresì il caso di donne e ragazze minacciate di violenza da parte dei propri gruppi familiari nei rispettivi paesi di origine.
La Direttiva Accoglienza
La dimensione di genere è presa in considerazione anche nella direttiva n. 2013/33/UE, che stabilisce gli standard minimi per l’accoglienza dei richiedenti asilo.
In particolare, l’articolo 11, nel regolare il trattenimento di persone vulnerabili e di richiedenti con esigenze di accoglienza particolari, prevede che alle richiedenti trattenute gli Stati membri garantiscano una sistemazione separata dai richiedenti uomini, salvo che si tratti di familiari e che tutti gli interessati vi acconsentano.
Inoltre l’articolo 18, circa le modalità relative alle condizioni materiali di accoglienza, dispone che nel caso in cui alle richiedenti asilo sia fornito l’alloggio in natura gli Stati membri debbano tener conto delle differenze di genere (fatta salva la tutela della vita familiare), e adottino le misure opportune per prevenire la violenza e la violenza di genere in particolare, compresa laviolenza sessuale e le molestie, all’interno dei locali e dei centri di accoglienza.
Si segnala, altresì, che l’articolo 21 della direttiva prevede che nelle misure nazionali di attuazione gli Stati membri tengano conto della specifica situazione di persone vulnerabili quali i minori, i minori non accompagnati, i disabili, gli anziani, le donne in stato di gravidanza, i genitori singoli con figli minori, le vittime della tratta degli esseri umani, le persone affette da gravi malattie o da disturbi mentali e le persone che hanno subito torture, stupri o altre forme gravi di violenza psicologica, fisica o sessuale, quali le vittime di mutilazioni genitali femminili.
Infine l’articolo 29 prevede che gli Stati membri adottino le misure adeguate per garantire che le autorità competenti e le organizzazioni che danno attuazione alla direttiva accoglienza abbiano ricevuto la necessaria formazione di base riguardo alle esigenze dei richiedenti di entrambi i sessi.
La Direttiva Procedure
La direttiva 2013/32, recante procedure comuni ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di protezione internazionale, prevede varie disposizioni che tengono conto della considerazione di genere
In particolare, secondo il considerando 29 delle premesse della direttiva taluni richiedenti possono necessitare di garanzie procedurali particolari, tra l’altro, per motivi di età, genere, orientamento sessuale, identità di genere, disabilità, grave malattia psichica o in conseguenza di torture, stupri o altre forme gravi di violenza psicologica, fisica o sessuale; in tal senso gli Stati membri dovrebbero adoperarsi per individuare i richiedenti che necessitano di garanzie procedurali particolari prima che sia presa una decisione in primo grado. Secondo il medesimo considerando, a tali richiedenti è opportuno fornire un sostegno adeguato, compreso tempo sufficiente, così da creare i presupposti necessari affinché accedano effettivamente alle procedure e presentino gli elementi richiesti per istruire la loro domanda di protezione internazionale.
Inoltre, al considerando 32 si ritiene opportuno, nell’intento di garantire una sostanziale parità tra i richiedenti di entrambi i sessi, che le procedure di esame (delle domande di asilo) siano sensibili alle specificità di genere. In particolare, i colloqui personali dovrebbero essere organizzati in modo da consentire ai richiedenti di entrambi i sessi che abbiano subito persecuzioni per motivi di genere di parlare delle esperienze passate; è altresì opportuno tenere debito conto della complessità delle domande con implicazioni di genere nelle procedure basate sui concetti di paese terzo sicuro e di paese di origine sicuro o sulla nozione di domanda reiterata.
L’articolo 10 della “direttiva procedure” include tra i criteri per l’esame delle domande di asilo il fatto che il personale incaricato di esaminare le domande e decidere in merito abbia la possibilità di consultare esperti, laddove necessario, su aspetti particolari come quelli d’ordine medico, culturale, religioso, di genere o inerenti ai minori.
L’articolo 11 offre invece la possibilità di concedere singolarmente lo status individuale di protezione alla donna/ragazza che sia vittima di persecuzione basata sul genere, anche laddove faccia parte di una famiglia che ha chiesto asilo nella sua interezza.
Infine l’articolo 15, nell’indicare i criteri con cui devono essere effettuati i colloqui individuali con i richiedenti asilo, prevede che gli Stati membri provvedano affinché la persona incaricata di condurre il colloquio abbia la competenza per tener conto del contesto personale e generale in cui nasce la domanda, compresa l’origine culturale, il genere, l’orientamento sessuale, l’identità sessuale o la vulnerabilità del richiedente.
Recenti attività del Parlamento Europeo
Il Parlamento europeo è intervenuto in più occasioni con atti di indirizzo aventi ad oggetto la situazione delle donne rifugiate e richiedenti asilo.
Con la risoluzione del 9 giugno 2015 sulla strategia dell'Unione europea per la parità tra donne e uomini dopo il 2015, i parlamentari europei hanno, tra l’altro:
sottolineato l'importanza di politiche attente alle questioni di genere in materia di asilo e migrazione, del riconoscimento del rischio di mutilazione genitale quale motivo di asilo, nonché dell'elaborazione delle relative linee guida e del coordinamento degli esempi di prassi eccellenti;
evidenziato la necessità di prevedere un diritto di soggiorno individuale, in assenza del quale si creerebbe uno squilibrio di poteri, con particolare riferimento alle donne migranti nei casi di violenza domestica;
invitato la Commissione a valutare e individuare azioni specifiche che possano garantire il rafforzamento e il pieno rispetto dei diritti delle donne richiedenti asilo nel corso dell'intera procedura di asilo.
Nella risoluzione “Situazione dei diritti fondamentali nell'UE (2013-2014)” dell’8 settembre 2015 il Parlamento europeo ha, tra l’altro:
sollecitato gli Stati membri a garantire condizioni di accoglienza dignitose, in conformità della legislazione esistente in materia di diritti umani e di asilo, prestando particolare attenzione alle persone vulnerabili ed alla riduzione del rischio di esclusione sociale dei richiedenti asilo;
invitato la Commissione a monitorare l'attuazione del sistema europeo comune di asilo (CEAS) ed in particolare della direttiva 2013/32/UE, prestando particolare attenzione ai richiedenti asilo che necessitano di speciali garanzie procedurali;
invitato gli Stati membri a ratificare senza ulteriori indugi la Convenzione del Consiglio d'Europa sulla lotta contro la tratta di esseri umani;
chiesto agli Stati membri di garantire un accesso effettivo alla protezione internazionale per le donne vittime di persecuzioni di genere;
chiesto agli Stati membri di seguire gli orientamenti della Commissione per l'applicazione della direttiva 2003/86/CE relativa al diritto al ricongiungimento familiare, in particolare la concessione immediata di un titolo di soggiorno autonomo ai familiari entrati a titolo di ricongiungimento familiare, in caso di situazioni particolarmente difficili come le violenze domestiche;
accolto con favore il fatto che la legislazione europea in materia di asilo consideri le vittime di mutilazioni genitali come persone vulnerabili e includa le mutilazioni genitali tra i criteri da tenere in considerazione in occasione della richiesta di asilo;
invitato gli Stati membri a formare i professionisti che sono a contatto con i migranti a individuare le donne e le ragazze che potrebbero subire una mutilazione genitale nel loro paese di origine;
Nella risoluzione “Rinnovo del piano d'azione dell'UE sulla parità di genere e l'emancipazione femminile nella cooperazione allo sviluppo” dell’8 ottobre 2015 i parlamentari europei hanno, tra l’altro:
sottolineato la vulnerabilità delle donne migranti, rifugiate e richiedenti asilo e il loro bisogno di protezione specifica;
•richiesto misure ad hoc volte a rafforzare e a garantire pienamente i diritti delle donne richiedenti asilo;
•chiesto una coraggiosa azione a livello europeo per affrontare l'attuale crisi migratoria e dei rifugiati, compreso un approccio globale, attento agli aspetti di genere, in materia di migrazione e asilo, che sia coerente tra gli Stati membri.
La proposta di risoluzione sulla situazione delle donne rifugiate e richiedenti asilo
Il progetto di relazione per la risoluzione di iniziativa che il Parlamento europeo in seduta plenaria dovrebbe esaminare l’8 marzo 2016 è stato presentato dalla eurodeputata e relatrice della Commissione FEMM, Mary Honeyball, membro del Regno Unito e iscritta al gruppo parlamentare Alleanza progressista dei socialisti e dei democratici del Parlamento europeo.
La proposta di risoluzione che dovrà essere esaminata, tra l’altro:
chiede di adottare un nuovo insieme completo di orientamenti in materia di genere a livello dell'UE nell'ambito delle più ampie riforme della politica in materia di asilo e migrazione;
esorta gli Stati membri a garantire e divulgare il diritto delle donne richiedenti asilo di avvalersi di una persona incaricata di condurre il colloquio e di un'interprete di sesso femminile e di offrire loro una formazione completa e obbligatoria in materia di violenza sessuale, trauma e memoria;
esorta la Commissione e gli Stati membri a garantire il pieno accesso alla salute e ai diritti sessuali e riproduttivi, ivi compreso l'accesso all'aborto sicuro, e a stanziare con urgenza risorse aggiuntive per la prestazione di assistenza sanitaria;
invita la Commissione e gli Stati membri ad adottare misure immediate per garantire che le condizioni di accoglienza siano sicure e adeguate, con alloggi e servizi igienici separati per donne e famiglie;
sottolinea che molte donne richiedenti asilo e rifugiate sono state vittime di forme estreme di violenza e che il trattenimento può aggravare il loro trauma;
chiede di porre immediatamente fine, in tutti gli Stati membri, al trattenimento di donne incinte richiedenti asilo e delle vittime sopravvissute allo stupro e alla violenza sessuale;
sottolinea l'urgente necessità di avviare indagini indipendenti in tutte le accuse di abuso nei luoghi di trattenimento degli immigrati e di concedere l'accesso ai giornalisti;
invita gli Stati membri a elaborare e attuare misure specifiche, per esempio in materia di lezioni di lingue, apprendimento permanente e formazione, per agevolare la partecipazione delle donne rifugiate e richiedenti asilo al mercato del lavoro;
sottolinea l'importanza di ampliare l'accesso all'istruzione superiore per le donne rifugiate, chiedendo altresì procedure solide e trasparenti per il riconoscimento delle qualifiche ottenute all'estero;
sottolinea l'importanza fondamentale dell'accessibilità dell'assistenza all'infanzia nel consentire l'emancipazione economica e sociale delle donne rifugiate;
chiede procedure di ricongiungimento familiare più rapide e più efficienti e la raccolta di dati disaggregati per genere in merito alle decisioni relative al ricongiungimento familiare;
sottolinea l'importanza del diritto al patrocinio a spese dello Stato nei casi di ricongiungimento familiare;
L’Agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati (UNHCR)
(a cura del Servizio Affari internazionali del Senato)
L’United Nations High Commissioner for Refugees (UNHCR), l'Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati, è l’Agenzia delle Nazioni Unite preposta alla protezione ed all'assistenza dei rifugiati nel mondo ai sensi di quanto stabilito dalla normativa internazionale in materia (a partire dalla Convenzione di Ginevra relativa allo status dei rifugiati del 1951 e dal relativo Protocollo addizionale del 1967). Istituita dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite il 14 dicembre 1950 con la Risoluzione 428 (V), ha il compito primario di fornire e coordinare la protezione internazionale e l'assistenza materiale ai rifugiati ed alle altre categorie di persone incluse nella sua area di competenza (rimpatriati, richiedenti asilo, sfollati interni ed apolidi).
Nell'esercizio del suo mandato e nel quadro delle attività di protezione internazionale e di assistenza, l'Agenzia assicura i seguenti compiti: la registrazione dei rifugiati; la consulenza per la documentazione; la raccolta dei dati anagrafici e biografici dei richiedenti asilo; la localizzazione sul territorio per fornire protezione e altre soluzioni durevoli alle esigenze derivanti dalla loro condizione, ovvero strumenti di assistenza ai rifugiati in fuga nel corso di crisi umanitarie; la promozione di programmi di istruzione, sanità ed alloggio ed operazioni di rimpatrio volontario, qualora possibili, nonché forme di sostegno per favorire l'autosufficienza dei rifugiati nei Paesi di asilo o per garantire loro condizioni per il reinsediamento in Paesi terzi, laddove essi non possano essere rimpatriati e non godano di sufficienti garanzie nel primo Paese di accoglienza.
A norma dell'articolo 35 della Convenzione di Ginevra del 1951, agli Stati parte del Trattato è chiesto esplicitamente di cooperare all'esercizio delle funzioni svolte dall'Agenzia al fine di agevolarne il compito di sorveglianza sull'applicazione delle disposizioni della Convenzione stessa, fornendo in particolare informazioni ed indicazioni statistiche sullo statuto dei rifugiati, sui meccanismi applicativi della normativa internazionale e sulla legislazione domestica in itinere in materia.
L'Agenzia, strutturata nei suoi uffici di Ginevra e di New York, è direttamente al servizio dell'Assemblea generale e del Consiglio Economico e sociale delle Nazioni Unite, cui è chiamata a riferire sugli aspetti di coordinamento delle sue attività in forma verbale attraverso i contatti diretti fra l'Alto Commissario ed il Consiglio e, in forma scritta, con una relazione annuale presentata all'Assemblea di riepilogo complessivo.
A livello organizzativo, l'Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati ha nella figura dell'Alto Commissario il suo responsabile di vertice e di controllo (attualmente la carica è ricoperta da Filippo Grandi). Ad un Comitato Esecutivo composto da 78 membri (tra i quali l'Italia), spetta il compito di approvare i programmi biennali dell'Agenzia e le relative previsioni di spesa, nonché di autorizzare l'Alto Commissario a fare richiesta per fondi aggiuntivi. Di norma tiene una sessione annuale dei suoi lavori, a Ginevra nel corso del mese di ottobre.
Filippo Grandi, il primo italiano a ricoprire il ruolo di Alto Commissario delle Nazioni Unite per i Rifugiati, ha lavorato nella cooperazione internazionale per più di 30 anni, 27 dei quali come funzionario delle Nazioni Unite, in particolare nel settore dell’asilo e dell’assistenza umanitaria. Dal 2010 al 2014 è stato a capo dell'Agenzia delle Nazioni Unite per il Soccorso e l'Occupazione dei Rifugiati Palestinesi nel Vicino Oriente (UNRWA), dopo esserne stato il Vice Commissario Generale a partire dal 2005. Egli è l’undicesimo Alto Commissario dalla nascita dell'Agenzia.
Nell'esercizio delle sue funzioni, l'Alto Commissario, posto a capo dell'Ufficio Esecutivo, coadiuvato da un Deputy High Commissioner e da due Assistant High Commissioners for Protection and Operations - nonché dalle rispettive strutture amministrative - è supportato da una articolata rete di divisioni (molte delle quali riorganizzate nel corso del 2009) e uffici(2) .
Fra gli uffici che rientrano nella gestione diretta dell'Alto Commissario si annoverano, l'Ufficio esecutivo, l'Inspector General's Office (IGO), l'Ethics Office, il The Policy Development and Evaluation Service (PDES) e l'Ufficio di New York dell'Agenzia.
Tra questi, l'Ethics Office è stato istituito nel corso del 2008 al fine di assicurare che tutto il personale dipendente dell'Agenzia osservi ed assicuri, nello svolgimento delle rispettive attività, il rispetto dei più alti standard di integrità, promuovendo al contempo una cultura dei valori etici, del rispetto, della trasparenza e della responsabilità.
Da ultimo, l'ufficio dell'UNHCR di New York assicura che i temi di interesse dell'Agenzia vengano debitamente presi in considerazione nei vari consessi decisionali presso la sede principale delle Nazioni Unite, a partire dalla discussione in seno al Consiglio di Sicurezza, delle questioni relative ai Paesi in cui siano presenti iniziative di peacekeeping o peacebuilding sotto l'egida dell'ONU.
Il budget complessivo dell'Agenzia per il 2015 è di 7 miliardi di dollari(3) . Dato il crescente numero delle situazioni in cui è richiesto l'intervento dell'UNHCR, il bilancio dell'Agenzia, che era complessivamente di circa un miliardo di dollari all'inizio degli anni '90 era già salito a volumi che superavano, a giugno 2013, i 5 miliardi di dollari(4) .
L’UNHCR è finanziato quasi interamente mediante contributi volontari provenienti principalmente dai governi, ma anche da organizzazioni intergovernative, da aziende e da singoli individui. Riceve una sovvenzione limitata dal bilancio ordinario delle Nazioni Unite per coprire i costi amministrativi ed accetta contributi “in natura”, compresi elementi necessari nelle crisi umanitarie quali tende, medicine, autocarri e trasporti aerei.
Per quanto riguarda la composizione del finanziamento, oltre l'80% del finanziamento complessivo proviene dai contributi volontari dei Governi e dell'Unione europea ed in misura residuale da contributi di altre organizzazioni o da enti privati, fondazioni, aziende e raccolte di fondi tra il pubblico.
I primi contributori nel 2015 sono stati gli Stati Uniti, Regno Unito Unione Europea, Giappone e Germania. L'Italia figura nel 2015 come 22° contributore(5) .
Il Bilancio annuale di programma dell’UNHCR comprende linee generali, a sostegno di operazioni regolari e già in corso, e linee speciali, impiegate per far fronte ad emergenze o ad operazioni di rimpatrio su larga scala.
Gli uffici dell'UNHCR attualmente sono presenti in 123 Paesi, per un totale di oltre 9.300 operatori tra personale internazionale e personale locale(6) . Nel corso dei cinque decenni di attività, l'Agenzia ha offerto un sostegno a milioni di persone. Attualmente le persone assistite delle diverse categorie che rientrano nella competenza dell'UNHCR (rifugiati, richiedenti asilo, rifugiati rimpatriati, sfollati, apolidi) sono circa 55.000.000, la maggior parte dei quali presenti in Asia ed Africa(7) .
In Italia l'Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (UNHCR) è presente fin dal 1953(8) .
L'ufficio di Roma dell'UNHCR, partecipa alla procedura di determinazione dello status di rifugiato in Italia e svolge attività relative alla protezione internazionale, alla formazione ed al training, alla diffusione delle informazioni sui rifugiati e richiedenti asilo in Italia e nelle varie aree di crisi in tutto il mondo, alla sensibilizzazione dell'opinione pubblica ed alla raccolta fondi presso governi, aziende e privati cittadini.
Dal 2006, l’ufficio italiano dell’UNHCR ha ampliato le proprie competenze diventando Rappresentanza Regionale responsabile, oltre che per l’Italia, anche per Cipro, Grecia, Malta, Portogallo, San Marino e Santa Sede, con il ruolo di coordinare le attività regionali in favore di richiedenti asilo e rifugiati presenti in questi paesi. Dal 2009 la Rappresentanza Regionale è responsabile anche per l'Albania.
Lo Statuto dell’UNHCR definisce la competenza dell’Alto Commissario in termini universali. Le organizzazioni precedenti, con la parziale eccezione dell’IRO (International Refugees Organization), avevano concepito i rifugiati soprattutto in termini di gruppi nazionali ben definiti, e con un forte accento sulla loro condizione di persone prive di protezione diplomatica e assistenza consolare (in effetti quindi spesso più vicini agli apolidi che ai rifugiati come li intendiamo noi oggi).
Lo Statuto dell’UNHCR, benché dichiarasse che l’organizzazione si sarebbe dovuta occupare, di regola, di categorie e gruppi di rifugiati piuttosto che di individui, conteneva una definizione di generale ma individuale applicazione. Il fulcro della definizione universale, contenuta nell’art. 6 (B) dello Statuto, è il fondato timore di persecuzione a causa di razza, religione, nazionalità, o opinione politica, associato alla impossibilità o al rifiuto di avvalersi della protezione diplomatica del proprio Paese.
L’universalità sta nel fatto che chiunque, indipendentemente dalla propria nazionalità, si trovi nelle condizioni descritte è sotto la competenza dell’Alto Commissario, che decide autonomamente in materia - un elemento importante perché evita il rischio che la decisione sulla eleggibilità o meno di un certo gruppo di rifugiati a godere della protezione dell’Alto Commissario, diventi oggetto di negoziati e compromessi tra stati. In quest’ottica va anche vista la descrizione del mandato come non politico e umanitario, a significare che la competenza dell’Alto Commissario deve essere esercitata indipendentemente dagli interessi politici di parte.
Lo Statuto assegna all’Alto Commissario la responsabilità di assicurare protezione internazionale e di cercare soluzioni permanenti per le persone di sua competenza.
L’espressione protezione internazionale è intesa in riferimento alla mancanza di protezione diplomatica di cui soffrono i rifugiati i quali, trovandosi all’estero senza le garanzie normalmente legate alla presenza, alle loro spalle, di uno stato competente a difenderne gli interessi, possono trovarsi soggetti ad abusi da parte dello stato straniero in cui si trovano. La ricerca di soluzioni permanenti è invece prevista come il necessario complemento alla protezione internazionale, nel senso che lo status di rifugiato dovrebbe essere soltanto una parentesi nella vita di una persona. La protezione internazionale è intesa come rete di salvataggio, che si sostituisce temporaneamente a quella normale dello stato fintantoché il rifugiato può reintegrarsi pienamente in una comunità statale, e cessare per l’appunto di essere tale.
Lo Statuto elenca, o implica, una serie di attività e misure di cui l’Alto Commissario può servirsi per ottemperare a queste sue funzioni. Queste consistono essenzialmente di:
Promozione della ratifica e supervisione dell’applicazione di convenzioni internazionali e altre misure per la protezione dei rifugiati (quali, ad esempio, la Convenzione di Ginevra, il cui articolo 35 impone agli stati l’obbligo di collaborare con l’Alto Commissario); questo include il monitoraggio e, in alcuni paesi, la partecipazione diretta, alle procedure per la determinazione dello status di rifugiato, nonché la promozione di legislazione nazionale in linea con gli standard internazionali in materia;
Promozione dell’ammissione dei rifugiati nel territorio di Paesi d’asilo - inclusi quelli non firmatari della Convenzione di Ginevra. Il monitoraggio e l'intervento avvengono secondo le modalità ritenute più opportune in difesa dei diritti fondamentali dei rifugiati quali, in primo luogo, il diritto a non essere respinto alla frontiera se proveniente dal paese di persecuzione, o ad esservi comunque rinviato. A questo fondamentale diritto, chiamato generalmente con termine francese non-refoulement, si aggiungono naturalmente i diritti previsti dalla convenzione di Ginevra e dalle varie Convenzioni sui diritti umani in generale;
In alcuni paesi, ove il godimento di certi diritti è soggetto al possesso di certificazioni che il paese d’asilo non rilascia, l’UNHCR, in accordo con il paese in questione, svolge una funzione quasi-consolare a favore dei rifugiati. In Italia, per esempio, l’UNHCR rilascia il nulla osta ai rifugiati che intendono sposarsi;
Il processo di determinazione dello status di rifugiato: benché in linea di principio i rifugiati siano tali non appena ne abbiano i requisiti e indipendentemente dal riconoscimento, di fatto il pieno godimento dei diritti loro assegnati dipende dal riconoscimento formale della loro condizione. Nei Paesi che non hanno ratificato la Convenzione di Ginevra, o che non hanno ancora messo in atto una procedura per la determinazione dello status di rifugiato, i funzionari UNHCR determinano lo status ai sensi del mandato. È importante notare che, benché la definizione di rifugiato contenuta nella Convenzione e nello statuto sia pressoché la stessa, essere riconosciuto solo dall’UNHCR spesso significa non avere altri diritti oltre quello al non-refoulement. L’UNHCR non può infatti imporre agli Stati di consentire ad un rifugiato di risiedere in maniera duratura sul loro territorio, o di permettere l’accesso al mercato del lavoro;
Assistenza a governi e organizzazioni per favorire il rimpatrio volontario o l’assimilazione all’interno di nuove comunità nazionali. Il rimpatrio volontario è normalmente considerato la soluzione migliore, quando possibile. Quando questo non appaia invece fattibile in un ragionevole lasso di tempo, o in certe condizioni, l’UNHCR cerca di negoziare la possibilità dell’integrazione locale nel paese d’asilo - integrazione che di fatto è facilitata nei paesi parte della Convenzione di Ginevra. Il reinsediamento in un paese terzo può essere estremamente utile per favorire il ricongiungimento familiare o nel caso in cui il paese d’asilo non offra sufficienti garanzie di sicurezza (o, come nel caso del programma di reinsediamento dall’Indocina negli anni ‘80, per facilitare la gestione del problema nei paesi di prima linea). È però un’opzione estremamente costosa, offerta solo da pochi Paesi, che hanno la possibilità di selezionare i rifugiati che desiderano ospitare secondo i loro interessi. Benché l’Alto Commissariato abbia facilitato, nei suoi cinquant’anni di attività, il rimpatrio di diversi milioni di persone, e abbia negoziato il reinsediamento di alcuni milioni d’altri, di fatto per la maggior parte dei rifugiati oggigiorno le soluzioni vere sono elusive, e non mancano drammatici esempi di rifugiati che hanno trascorso anni in campi profughi - talvolta in condizioni miserabili..
Raccolta d’informazioni rispetto al numero, alle condizioni dei rifugiati, e alla legislazione che li concerne nei vari paesi d’asilo. L’UNHCR ha anche una funzione di raccordo e di stimolo per la ricerca e lo studio dei problemi che riguardano i rifugiati, che utilizza nella sua funzione consultiva presso i governi e le organizzazioni interessate;
Facilitazione del coordinamento degli sforzi delle organizzazioni private che si occupano del benessere dei rifugiati. Il ruolo di coordinamento è divenuto, con il crescere dei programmi di assistenza ai rifugiati, e con il moltiplicarsi delle agenzie e organizzazioni coinvolte, uno dei capisaldi dell’operato UNHCR.
Categorie di persone rientranti nel mandato dell'UNHCR
Sono circa 55 milioni le persone di cui, al momento, si occupa l’UNHCR(9) . Si tratta in primo luogo di rifugiati (oltre 13 milioni) in paesi stranieri e di persone che rientrano nella propria terra dopo un soggiorno forzato all’estero. A questi si aggiungono gli sfollati interni (oltre 32 milioni) nel proprio stesso paese(10) .
Rifugiati
Il diritto internazionale definisce rifugiato chiunque si trovi al di fuori del proprio paese e non possa ritornarvi a causa del fondato timore di subire violenze o persecuzioni. I rifugiati sono riconosciuti tali dai governi che hanno firmato accordi sul loro status giuridico con le Nazioni Unite, o dall’UNHCR stesso secondo la definizione contenuta nello statuto dell’Alto Commissariato.
La protezione internazionale dei rifugiati costituisce il nucleo principale del mandato dell'Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (UNHCR). Tale mandato, come espresso negli statuti e nella Convenzione del 1951 sullo Status dei Rifugiati, si è costantemente evoluto nel corso degli ultimi cinquanta anni.
Inizialmente, la protezione internazionale consisteva in una sorta di surrogato della protezione consolare e diplomatica, mentre oggi si è estesa notevolmente fino ad assicurare ai rifugiati il godimento dei loro diritti umani fondamentali e la sicurezza. Oltre alla Convenzione del 1951, la Comunità internazionale si è dotata di altri strumenti, sia a carattere universale che regionale, volti a proteggere i rifugiati.
L'Agenzia collabora con i governi ospitanti per tutelare i diritti umani fondamentali dei rifugiati ed adotta tutte le misure necessarie al fine di fornire assistenza durante l'intero processo della protezione internazionale: dall'impedire che le persone siano rimpatriate in un paese dove abbiano motivo di temere persecuzioni (refoulement), alla richiesta d'asilo, dall'ottenimento dello status di rifugiato fino al raggiungimento di soluzioni durevoli (rimpatrio volontario, integrazione all'interno dei paesi ospitanti o reinsediamento in un paese terzo).
L'UNHCR è impegnato in molteplici attività, sia sul campo che in sede centrale, nel tentativo di:
assicurare l'ottenimento dell'asilo e l'ammissione ai Paesi d'asilo, intervenire, se necessario, per evitare il refoulement ed agevolare le procedure per determinare lo status di rifugiato;
verificare le necessità e monitorare il trattamento dei rifugiati e dei richiedenti asilo;
garantire, in collaborazione con i governi, l'incolumità fisica dei rifugiati e delle altre persone di sua competenze;
individuare i gruppi vulnerabili assicurandone e privilegiandone l'assistenza;
collaborare con alcuni governi per definire la registrazione e la documentazione, partecipando alle procedure nazionali per la determinazione dello status di rifugiato;
favorire la diminuzione degli apolidi;
perseguire attivamente la rivitalizzazione dei regimi di protezione e collaborare con le organizzazioni non governative (ONG) e con altre organizzazioni internazionali a tale scopo;
promuovere la legislazione in favore dei rifugiati, incoraggiare l'accesso alla Convenzione e ai Protocolli, e favorire lo sviluppo delle istituzioni e della legislazione nazionale in materia;
proteggere gli sfollati ogniqualvolta siano soddisfatte le condizioni richieste dalle linee guida dell'organizzazione;
sviluppare costantemente la propria capacità di fornire protezione ai rifugiati;
promuovere e realizzare soluzioni durevoli agevolando il rimpatrio volontario, l'integrazione nel Paese ospitante o il reinsediamento in un Paese terzo;
occuparsi personalmente delle procedure relative al reinsediamento nei Paesi terzi.
UNRWA
A seguito del conflitto arabo-israeliano del 1948, l'Assemblea generale delle Nazioni Unite - con la risoluzione 302 (IV) dell'8 dicembre 1949 - istituì l'UNRWA (United Nations Relief and Works Agency for Palestine Refugees in the Near East), l’Agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati palestinesi del Vicino Oriente, con il compito di fornire assistenza e realizzare progetti a favore dei rifugiati palestinesi. L'UNRWA è un organo sussidiario dell'Assemblea generale delle Nazioni Unite ed è una delle sole due Agenzie che riferiscono direttamente alla predetta Assemblea (l'altra è UNIDIR, un'Agenzia per la ricerca sul disarmo). UNRWA è un'Agenzia temporanea e il suo mandato viene rinnovato periodicamente, attraverso risoluzioni dell'Assemblea generale dell'ONU(11) . Recentemente il mandato è stato rinnovato fino al 30 giugno 2014.
Le operazioni dell'Agenzia, hanno avuto inizio il 1° maggio 1950 e, in assenza di una soluzione alla questione dei rifugiati palestinesi, l'Assemblea generale ha ripetutamente rinnovato il mandato dell'UNRWA.
L’area geografica di attività dell’UNRWA è limitata a Libano, Siria, Giordania, Cisgiordania e striscia di Gaza. Solo quando si trovano fuori da tale zona, i rifugiati palestinesi rientrano nel mandato dell’UNHCR e nella Convenzione del 1951.
Fin dalla sua istituzione l'Agenzia ha svolto la sua attività sia in periodi di relativa calma, sia di ostilità. Ha fornito cibo, alloggio e abiti a decine di migliaia di rifugiati in fuga e allo stesso tempo ha realizzato programmi di istruzione e di assistenza medica per centinaia di migliaia di giovani rifugiati.
Nata come organizzazione temporanea, l'UNRWA ha gradualmente adattato la propria attività alle mutate necessità dei rifugiati e attualmente costituisce l'agenzia maggiormente impegnata nella fornitura di assistenza di base - beni di prima necessità, istruzione, servizi medici, servizi sociali – ai circa 4 milioni di rifugiati palestinesi che attualmente si trovano nella propria area di competenza. Nel 2007, in particolare, UNRWA ha avviato un programma di profonda riorganizzazione interna (denominato Organisational Development) che verrà portato a termine entro il 2010, al fine di aumentare l'efficienza e l'efficacia dei servizi forniti alla popolazione dei rifugiati palestinesi.
Attualmente, i rifugiati palestinesi che ricadono nell'area di competenza UNRWA sono circa 5 milioni distribuiti in cinque campi in Giordania, Libano, nella Striscia di Gaza, in Siria e nei territori del West Bank(12) .
Rimpatriati
I rifugiati sono costretti ad abbandonare le proprie abitazioni sotto una minaccia estrema e, quasi sempre, il desiderio è quello di rientrare al più presto, appena le circostanze lo permettono. L’UNHCR assiste i rifugiati nella fase di ritorno volontario a casa. Una volta che questo avviene, l’organizzazione li aiuta a reintegrarsi nei paesi di origine e vigila sulla loro sicurezza. La durata di questa attività varia da caso a caso, ma raramente supera i due anni.
Nel 2015 il numero dei rimpatri volontari è sceso rispetto ai valori annui registrati nella decade precedente, passando da circa un milione a 126.000 unità.
Richiedenti asilo
Di questa categoria fanno parte coloro che, lasciato il proprio paese d’origine e avendo inoltrato una richiesta di asilo, sono ancora in attesa di una decisione da parte delle autorità del paese ospitante riguardo al riconoscimento dello status di rifugiato. Si tratta di circa 1 miolione di persone ogni anno, in larga parte residenti nei paesi di Nordamerica ed Europa. L’UNHCR li assiste nelle pratiche necessarie per ottenere lo status richiesto.
Nel 2014 le nuove domande di asilo sono state 1,2 milioni(13) .
Apolidi
L'apolide è una persona che nessuno Stato riconosce come proprio cittadino. La prevenzione di nuovi casi di apolidia e la soluzione degli attuali sono attività che fanno parte integrante del mandato dell'UNHCR. A tale proposito l'Alto Commissariato promuove l'adesione degli Stati alla Convenzione del 1954 relativa allo status degli apolidi e alla Convenzione del 1961 sulla riduzione dell'apolidia. L'UNHCR fornisce inoltre agli Stati sostegno tecnico e consulenza su questioni relative all'apolidia. Si stima che attualmente nel mondo gli apolidi siano circa 9 milioni.
Se è vero che alcuni rifugiati possono essere anche apolidi, non necessariamente tutti gli apolidi sono anche dei rifugiati. Quella dell’apolidìa è comunque una questione che rientra nella competenza dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (UNHCR). Nel 1974 infatti l’Assemblea generale delle Nazioni Unite ha richiesto all’UNHCR di fornire assistenza legale a questa categoria di persone e nel 1996 ha incaricato l’Agenzia di ampliare il suo ruolo anche alla prevenzione e alla riduzione del fenomeno dell’apolidia. Alla fine del 2015 risultano apolidi circa 3,5 milioni di persone, ma in realtà il loro numero potrebbe essere sensibilmente più alto(14) .
Sfollati
A seguito di una richiesta del Segretario generale delle Nazioni Unite, da qualche anno l’Alto Commissariato ha progressivamente esteso protezione e assistenza anche ad alcune categorie di persone che non sono incluse nel mandato originario dell’organismo, contemplato nella Convenzione di Ginevra del 1951 e nel Protocollo del 1967 sul diritto dei rifugiati. Tra questi, il gruppo principale è costituito dagli sfollati.
Come i rifugiati, gli sfollati (in inglese, Internally Displaced Persons, o IDPs) sono civili costretti a fuggire da guerre o persecuzioni, ma, a differenza dei rifugiati, essi non hanno attraversato un confine internazionale.
A causa dell'assenza di un mandato generale finalizzato alla loro assistenza, la maggior parte degli sfollati non riceve protezione o assistenza internazionale. Negli ultimi anni, il mutamento della natura dei conflitti ha condotto ad un progressivo aumento delle persone sfollate all'interno del proprio paese e su specifica richiesta del Segretario generale o dell'Assemblea generale delle Nazioni Unite e dopo il consenso dello stato interessato o quanto meno il suo impegno a non ostacolare le operazioni di assistenza, l'UNHCR ha progressivamente assunto l'incarico di assistere le popolazioni sfollate di alcuni Paesi.
Non esistono statistiche certe sul numero di sfollati nel mondo. Si calcola però che a fine 2015 il numero degli sfollati fuggiti a causa di conflitti o persecuzioni e rimasti nel proprio Paese oscillasse intorno ai 32 milioni di persone(15) .
L'UNHCR per le donne rifugiate
(a cura del Servizio Affari internazionali del Senato)
Rispetto alla definizione di rifugiato contenuta nella Convenzione del 1951, una nozione più estesa adottata dall'UNHCR ricomprende le persone che abbandonano il loro Paese poiché la loro vita, la loro sicurezza o libertà è minacciata da conflitti, violenze generalizzate o eventi che hanno seriamente compromesso l'ordine pubblico. In tale contesto, il genere può influenzare o orientare il tipo di male inflitto. Donne e ragazze sono spesso i principali obiettivi di violenze e abusi a causa del loro genere femminile. Per esempio, donne e ragazze sono più esposte agli stupri e ad altre forme di violenza legate al sesso, come violenze legate alla dote, matrimoni forzati, mutilazioni genitali femminili: tali atti possono spingere a richiedere lo status di rifugiate.
Le donne in molte società sono già esposte a specifici rischi e hanno meno probabilità di accedere ai propri diritti degli uomini; in situazioni di sfollamento questi rischi, in particolare di discriminazione e di violenza basata sul sesso, possono essere esacerbati, perché le strutture di sostegno delle loro comunità si sfaldano e la giustizia non è in grado di assicurare i diritti delle donne. Donne e ragazze non accompagnate, donne capofamiglia o incinte, disabili o anziane possono correre particolari rischi.
Le donne e le ragazze comprendono circa il 50% di ogni popolazione rifugiata, dispersa o apolide. UNHCR lavora per promuovere l'uguaglianza di genere e assicurare pari accesso alla protezione e all'assistenza. L'integrazione della prospettiva di genere è trasversale ad ogni settore e tra gli altri: UNHCR offre assistenza nella costruzione e nel mantenimento delle strutture di accoglienza in modo che siano sicure ed in grado di garantire la privacy per le donne; fa sì che i sistemi di distribuzione del cibo considerino i ruoli familiari e raggiungano tutti; che le strutture sanitarie siano accessibili e separate per uomini e donne; che le donne siano in grado di rifornirsi di acqua e di carburante senza correre il rischio di stupri e altri abusi.
La politica dell'UNHCR per le donne rifugiate, elaborata nel 1990 a seguito di numerose conclusioni generali del Comitato Esecutivo, si pone 3 macro-obiettivi:
la protezione che deve essere appropriata agli specifici bisogni;
le soluzioni durature
l'assistenza anche al fine della loro partecipazione all'individuazione di soluzioni durature.
Successivamente nel 1991 l'UNHCR ha pubblicato le prime Linee guida per la protezione delle donne rifugiate, sostituite nel 2008 dal Manuale per la protezione di donne e ragazze, nonché più recentemente le Raccomandazioni sull'armonizzazione degli standard di accoglienza per i richiedenti asilo nell'UE e la Nota sulle denunce di rifugiate connesse alle mutilazioni genitali femminili.
Le conclusioni adottate dal Comitato Esecutivo, sebbene non vincolanti, indicano ulteriori principi e misure per aumentare la protezione delle donne rifugiate, sfollate o che vogliono rientrare; tali misure possono includere procedure di asilo gender-sensitive (ad esempio, l'impiego di skilled female interviewers); tutela di coloro che subiscono violazioni ed accesso alle autorità preposte; assistenza psicologica e medica; riservatezza delle informazioni; assistenza per riallocazione entro il paese o ristabilimento in un paese terzo.
I programmi di assistenza per le donne rifugiate agiscono sul piano dell'istruzione, della sanità ma anche dell'aiuto al sostentamento per evitare che le donne siano costrette a prostituirsi per sopravvivenza loro e delle loro famiglie.
La policy dell'UNHCR mira ad accrescere la resilienza delle donne e a sostenere l'empowerment femminile nella convinzione che dalla condizione di sfollate le donne possano essere messe in condizione di assumere nuovi ruoli e di innescare cambiamenti positivi.
UNHCR, insieme al Fondo delle Nazioni Unite per la Popolazione (UNFPA) e alla Commissione per le donne rifugiate (WRC) ha condotto nel novembre 2015 una missione informativa in Grecia e Fyrom i cui esiti sono contenuti in un Rapporto sui rischi connessi alla protezione di donne e ragazze nella crisi dei migranti e rifugiati nel Mediterraneo, pubblicato a febbraio 2016.
Partendo dalla constatazione che il viaggio dei migranti verso il Mediterraneo (quasi 1 milione, da gennaio a novembre 2015, di cui il 17% donne) espone i migranti stessi ad elevati livelli di violenza, incluse violenze legate al sesso e al genere (sexual and gender-based violence, SGBV) e sfruttamento lungo il tragitto, denuncia l'esposizione di categorie particolarmente vulnerabili - donne non accompagnate, in stato di gravidanza o di allattamento, ragazze adolescenti, bambini non accompagnati, bambine sposate precocemente e spesso a loro volta mamme di neonati, disabili, anziani - a particolari rischi e l'urgenza di una risposta effettiva in termini di protezione. La situazione attuale (initial assessment) è tale per cui donne e ragazze rifugiate e migranti incontrano gravi problemi di protezione e le risposte di governi, attori umanitari, Istituzioni dell'UE, agenzie e organizzazioni della società civile sono inadeguate e devono essere urgentemente migliorate.
Tra le raccomandazioni rivolte ai governi e alle Istituzioni dell'UE figurano: quella di elaborare dei criteri di vulnerabilità che orientino le priorità della risposta alle persone in cerca di protezione; di dedicare importanti risorse governative di staff con esperienza e capacità in materia SGBV e di coinvolgere attori locali della società civile con altrettanta expertise; a livello di servizi, di prevedere spazi adeguati per colloqui riservati per donne e bambini, centri di accoglienza sicuri, accessibili e rispondenti ai bisogni delle donne, di prevedere, in tutti i punti di ingresso, transito ed uscita, servizi di pronto soccorso psico-sociale, clinical-management dello stupro (CMR) tutela della salute riproduttiva.
La Convenzione del Consiglio d'Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica (Convenzione di Istanbul)
La Convenzione del Consiglio d'Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica è stata adottata dal Comitato dei Ministri del Consiglio d'Europa il 7 aprile 2011 ed è stata aperta alla firma l'11 maggio 2011, in occasione della 121a Sessione del Comitato dei Ministri a Istanbul.
La Convenzione è aperta alla firma degli Stati membri del Consiglio d'Europa, degli Stati non membri che hanno partecipato alla sua elaborazione (Canada, Giappone, Messico, Santa Sede, Stati Uniti) e dell'Unione europea, ed è inoltre aperta all'adesione da parte degli altri Stati non membri. La Convenzione, firmata da 39 Stati, è entrata in vigore dopo dieci ratifiche (otto delle quali di Stati membri del Consiglio d'Europa), il 1° agosto 2014. L'Italia ha ratificato la Convenzione - all'unanimità in entrambi i rami del Parlamento - con la legge 27 giugno 2013, n. 77.
Allo Stato attuale, hanno ratificato la Convenzione Albania, Andorra, Austria, Bosnia Erzegovina, Danimarca, Finlandia, Francia, Italia, Malta, Monaco, Montenegro, Paesi Bassi, Polonia, Portogallo, San Marino, Serbia, Slovenia, Spagna, Svezia e Turchia. I Paesi firmatari che non hanno ancora provveduto alla ratifica sono Belgio, Cipro, Croazia, Estonia, ex Repubblica jugoslava di Macedonia, Georgia, Germania, Grecia, Irlanda, Islanda, Lituania, Lussemburgo, Norvegia, Regno Unito, Repubblica slovacca, Romania, Svizzera, Ucraina e Ungheria.
Per quanto concerne l'eventuale adesione dell'Unione europea, e le sue modalità, la nuova Commissione europea, in una Roadmap dell'ottobre 2015, ha espresso l'intenzione di presentare una proposta di decisione del Consiglio che preveda l'adesione dell'UE - anziché una proposta che autorizzi gli Stati membri a aderire individualmente , in linea con quanto previsto dall'art.. 75, paragrafo 1 della Convenzione, che, come già ricordato, recita letteralmente: "La presente Convenzione è aperta alla firma degli Stati membri del Consiglio d'Europa, degli Stati non membri che hanno partecipato alla sua elaborazione e dell'Unione europea".
A tale proposito, nel corso del Consiglio Occupazione, politica sociale, salute e consumatori del prossimo 7 marzo, la Commissaria responsabile, Vera Jourova, nell'ambito di un'informativa sulla lotta contro la violenza verso le donne, dovrebbe fornire elementi di conferma circa la firma, da parte dell'Unione, della Convenzione, che dovrebbe aver luogo entro la fine dello stesso mese di marzo.
L'adozione della Convenzione è stata accolta con grande favore in ambito internazionale, soprattutto in virtù dell'approccio integrato e olistico che propone, e che ne fa un punto di riferimento per quanto riguarda la lotta alla violenza contro le donne. Di particolare importanza sono state considerate:
L'enfasi posta dalla Convenzione su due aree prioritarie di intervento: prevenzione e accesso ai servizi da parte delle donne che hanno subito violenza;
La previsione di strumenti giuridicamente vincolanti, che costituiscono un valore aggiunto rispetto agli altri trattati che insistono sulla medesima materia.
La Convenzione si compone di un Preambolo, di 81 articoli raggruppati in 12 capitoli, e di un Allegato.
Il Preambolo ricorda i principali strumenti che, nell'ambito del Consiglio d'Europa e delle Nazioni Unite, sono collegati al tema oggetto della Convenzione e sui quali quest'ultima si basa, prima fra tutti la Convenzione ONU del 1979 sull'eliminazione di ogni forma di discriminazione contro le donne (CEDAW).
Gli obiettivi della Convenzione sono elencati nel dettaglio nell'art. 1: particolare rilievo, con riferimento alle questioni connesse all'asilo e alle politiche di accoglienza verso le donne vittime di violenza, riveste la previsione volta a creare un quadro globale e integrato che consenta la protezione delle donne, nonché la cooperazione internazionale e il sostegno alle autorità e alle organizzazioni che operano a tal fine, e quella che stabilisce l'applicabilità della Convenzione sia in tempo di pace sia nelle situazioni di conflitto armato.
La struttura della Convenzione segue quella usata nelle più recenti convenzioni del Consiglio d'Europa ed è basata sulle cd. "tre P": prevenzione, protezione e sostegno delle vittime,perseguimento dei colpevoli, cui viene ad aggiungersi una "quarta P", quella delle politiche integrate, allo scopo di agire efficacemente su un fenomeno caratterizzato da grande complessità e da molteplici fattori determinanti.
Più nel dettaglio:
Il Capitolo IV - "Protezione e sostegno" - vincola le parti ad adottare misure legislative o di altro tipo che consentano alle vittime di violenza di ottenere un'informazione adeguata e tempestiva sui servizi di sostegno e le misure legali disponibili (art. 19) e sui meccanismi regionali e internazionali disponibili per le denunce individuali e collettive (art. 21);
Il Capitolo V - "Diritto sostanziale" impegna le parti ad adottare misure legislative o di altro tipo per fornire alle vittime adeguati mezzi di ricorso civile verso l'autore del reato, e diritti di risarcimento (art. 29 e art. 30), per rendere invalidabili i matrimoni contratti con la forza (art. 32), per "penalizzare" o perseguire penalmente ogni tipo di violenza: psicologica (art. 33),persecutoria (art. 34), fisica (art. 35) e sessuale, incluso lo stupro (art. 36). Perseguibili sono anche il matrimonio forzato (art. 37), le mutilazioni genitali femminili (art. 38), l'aborto forzato o la sterilizzazione forzata (art. 39) e le molestie sessuali (art. 40). Inoltre, l'art. 42 impegna le parti a garantire che "nei procedimenti penali intentati a seguito della commissione di qualsiasi atto di violenza che rientra nel campo di applicazione della Convenzione, la cultura, gli usi e costumi, la religione, le tradizioni o il cosiddetto "onore" non possano essere addotti come scusa per giustificare tali atti".
Il Capitolo VII della Convenzione, "Migrazione e asilo", consta di tre distinti articoli, che meritano un esame più dettagliato:
L'art. 59 (attinente più in generale alle questioni migratorie) tocca il tema delle vittime il cui status di residente dipende da quello del coniuge o del partner, e prevede che esse possano ottenere, su richiesta, in caso di scioglimento del matrimonio o della relazione e in situazioni particolarmente difficili, un titolo autonomo di soggiorno e la sospensione delle procedure di espulsione eventualmente attivate. Alle vittime viene rilasciato un titolo di soggiorno rinnovabile in una o entrambe le seguenti situazioni:
Quando l'autorità competente ritiene che il loro soggiorno sia necessario in considerazione della loro situazione personale;
Quando l'autorità competente ritiene che il loro soggiorno sia necessario per la loro collaborazione con le autorità competenti nell'ambito di un'indagine o di procedimenti penali.
• Infine, le parti contraenti si impegnano a garantire che le vittime di un matrimonio forzato condotte in un altro paese al fine di contrarre matrimonio, e che abbiano perso il loro status di residente del paese in cui risiedono normalmente, possano recuperarlo;
L'art. 60 prevede, al paragrafo 1, che le Parti adottino le misure necessarie "per garantire che la violenza contro le donne basata sul genere possa essere riconosciuta come una forma di persecuzione ai sensi dell'articolo 1, A (2) della Convenzione relativa allo status dei rifugiati del 1951 e come una forma di grave pregiudizio che dia luogo a una protezione complementare/sussidiaria".
• I successivi paragrafi 2 e 3 impegnano le Parti ad accertarsi che a ciascuno dei motivi della Convenzione sia applicata un'interpretazione sensibile al genere; che nei casi in cui sia stabilito che il timore di persecuzione è basato su uno o più di tali motivi, sia concesso ai richiedenti asilo lo status di rifugiato; che siano sviluppate procedure di accoglienza sensibili al genere e servizi di supporto per i richiedenti asilo;
l'art. 61 prevede infine che le Parti adottino le misure legislative o di altro tipo necessarie per il rispetto del principio di non-respingimento, in conformità agli obblighi esistenti derivanti dal diritto internazionale, e per garantire in particolare "che le vittime della violenza contro le donne bisognose di una protezione, indipendentemente dal loro status o dal loro luogo di residenza, non possano in nessun caso essere espulse verso un paese dove la loro vita potrebbe essere in pericolo o dove potrebbero essere esposte al rischio di tortura o di pene o trattamenti inumani o degradanti.
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Note:
1) Ai sensi della direttiva qualifiche, è persona avente titolo a beneficiare della protezione sussidiaria il cittadino di un paese terzo o apolide che non possiede i requisiti per essere riconosciuto come rifugiato ma nei cui confronti sussistono fondati motivi di ritenere che, se ritornasse nel paese di origine, o, nel caso di un apolide, se ritornasse nel paese nel quale aveva precedentemente la dimora abituale, correrebbe un rischio effettivo di subire un grave danno.
2) Organigramma dell'Agenzia: http://www.unhcr.org/4bffd0dc9.html
3) Le fonti dei dati riportati sono reperibili nel sito web dell'Agenzia, sezione "Figures" (http://www.unhcr.org/pages/49c3646c14.html)
4) Le fonti dei dati riportati sono reperibili nel sito web dell'Agenzia, sezione "Financial figures" (http://www.unhcr.org/pages/49c3646c1a.html)
5) Vd. http://www.unhcr.org/558a639f9.html
6) Vd. http://www.unhcr.org/pages/49c3646c80.html
7) Vd. http://www.unhcr.org/564da0e3b.html
8) Informazioni tratte dal sito web www.unhcr.it
9) Si tenga conto che nel campo dell'assistenza alle persone costrette alla fuga da guerre e persecuzioni opera, oltre allo UNHCR, anche lo UNRWA e, per le crisi umanitarie, una serie di "agenzie sorelle" riconducibili all'ONU.
10) Per dati aggiornati in maniera dinamica, si rinvia alla apposita pagina della Agenzia (http://popstats.unhcr.org/en/overview).
11) L'ultima è la risoluzione 67/116 del 18 dicembre 2012 http://www.un.org/en/ga/search/view_doc.asp?symbol=A/RES/67/116
12) http://www.unrwa.org/
13) http://www.unhcr.org/pages/49c3646c137.html
14) http://www.unhcr.org/564da0e3b.html
15) http://www.unhcr.org/564da0e3b.html