Disposizioni urgenti in materia di reddito di cittadinanza e di pensioni. D.L. 4/2019 – Beneficiari, cittadini UE ed extra UE.

Senato della Repubblica
Servizio studi
Estratto dal Dossier n. 100


 

(…)

Articolo 2
(Beneficiari)

L’articolo in esame riconosce ai nuclei familiari in possesso di taluni requisiti l’accesso al Reddito di cittadinanza (Rdc) e alla Pensione di cittadinanza (con alcune espresse e limitate esclusioni), regolando, altresì, i rapporti tra il beneficio in esame ed altri strumenti di sostegno al reddito.

In particolare, per l’accesso al beneficio concorrono cumulativamente diversi requisiti, con riferimento al criterio della residenza e del soggiorno, del reddito e del patrimonio e del godimento di beni durevoli (comma 1).

Requisito della residenza e del soggiorno

Con riferimento a questo requisito, il componente richiedente il beneficio deve essere:
• in possesso della cittadinanza italiana o di paesi facenti parte dell’Unione europea, ovvero suo familiare che sia titolare del diritto di soggiorno o del diritto di soggiorno permanente, ovvero cittadino di paesi terzi in possesso del permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo;
• residente in Italia da almeno 10 anni al momento della presentazione della domanda, di cui gli ultimi due anni in modo continuativo;

Le modalità di esercizio del diritto soggiorno nel territorio nazionale dei cittadini dell’Unione europea previste dall’ordinamento sono diverse da quelle dei cittadini di Paesi terzi.

Cittadini UE

Il diritto di soggiorno dei cittadini dell’Unione europea è regolato in particolare dal D.Lgs. 30/2007, di attuazione della direttiva 2004/38/CE.

I cittadini dell'Unione europea hanno il diritto di soggiornare nel territorio nazionale per un periodo non superiore a tre mesi senza alcuna condizione o formalità, purché siano in possesso di un documento d'identità valido per l'espatrio secondo la legislazione dello Stato di cui hanno la cittadinanza. Il diritto di soggiorno si estende anche ai familiari non aventi la cittadinanza di uno Stato membro che accompagnano o raggiungono il cittadino dell'Unione, in possesso di un passaporto in corso di validità.

Per periodi superiori a tre mesi il soggiorno è ammesso, in particolare, quando il cittadino dell'Unione:
- è lavoratore subordinato o autonomo nello Stato;
- dispone per se stesso e per i propri familiari di risorse economiche sufficienti e di un'assicurazione sanitaria;
- è iscritto presso un istituto pubblico o privato riconosciuto per seguirvi un corso di studi o di formazione professionale e dispone di risorse economiche sufficienti e di un'assicurazione sanitaria.

Anche in questo caso il diritto si estende anche ai familiari, cittadini o no dell’Unione, che accompagnano un cittadino dell'Unione che ha diritto di soggiornare ai sensi dei punti precedenti.

Il cittadino dell'Unione, già lavoratore subordinato o autonomo sul territorio nazionale, conserva il diritto al soggiorno se è temporaneamente inabile al lavoro - a seguito di una malattia o di un infortunio – o se è in stato di disoccupazione involontaria debitamente comprovata o se segue un corso di formazione professionale.

Ai familiari del cittadino dell'Unione non aventi la cittadinanza di uno Stato membro è rilasciata dalla questura competente per territorio di residenza la «Carta di soggiorno di familiare di un cittadino dell'Unione» con validità di 5 anni.

Il cittadino dell'Unione che ha soggiornato legalmente ed in via continuativa per cinque anni nel territorio nazionale ha diritto al soggiorno permanente non subordinato alle condizioni viste sopra. Il diritto di soggiorno permanente si perde in ogni caso a seguito di assenze dal territorio nazionale di durata superiore a due anni consecutivi.

Anche il familiare non avente la cittadinanza di uno Stato membro acquisisce il diritto di soggiorno permanente se ha soggiornato legalmente in via continuativa per cinque anni nel territorio nazionale unitamente al cittadino dell'Unione.

Una attestazione di soggiorno permanente per i cittadini dell'Unione europea è rilasciata, a richiesta dell'interessato, dal comune di residenza.

I cittadini dell'Unione e i loro familiari che hanno il diritto di soggiorno o diritto di soggiorno permanente possono esercitare qualsiasi attività economica autonoma o subordinata, escluse le attività che la legge, conformemente ai Trattati dell'Unione europea ed alla normativa comunitaria, riserva ai cittadini italiani. Inoltre, fatte salve le disposizioni espressamente previste dal Trattato CE, ogni cittadino dell'Unione che risiede nel territorio nazionale gode di pari trattamento rispetto ai cittadini italiani nel campo di applicazione del Trattato. Il beneficio di tale diritto si estende ai familiari non aventi la cittadinanza di uno Stato membro che siano titolari del diritto di soggiorno o del diritto di soggiorno permanente.

La legge prevede altresì che, in deroga al principio di parità di trattamento, il cittadino dell'Unione ed i suoi familiari non godono del diritto a prestazioni d'assistenza sociale durante i primi tre mesi di soggiorno o, comunque, in caso di ingresso per ricerca di lavoro.

Cittadini Paesi terzi

Possono soggiornare nel territorio dello Stato i cittadini stranieri provenienti da Paesi non appartenenti alla Unione europea entrati regolarmente nel territorio italiano, che siano muniti di carta di soggiorno o di permesso di soggiorno in corso di validità. La richiesta di permesso di soggiorno è effettuata alla questura competente entro 8 giorni dall’ingresso in Italia. La durata del permesso di soggiorno varia a seconda dei motivi del soggiorno; per motivi di lavoro subordinato non può essere di durata superiore a due anni (D.lgs. 286/1998, art. 5).

Alla scadenza, il permesso di soggiorno può essere rinnovato per una durata non superiore a quella stabilita con il rilascio iniziale e sempre che permangano i requisiti previsti per il rilascio.

La materia del soggiorno di lungo periodo degli stranieri provenienti da Paesi terzi è disciplinata dalla direttiva 2003/109/CE, recepita nell’ordinamento italiano dal D.Lgs. 3/2007 che ha novellato il testo unico in materia di immigrazione (D.Lgs. 286/1998, artt. 9 e 9-bis).

I cittadini di Paesi terzi, soggiornanti legalmente e ininterrottamente per cinque anni nel territorio di uno Stato membro, acquistano lo status di soggiornante di lungo periodo e hanno diritto ad un permesso di soggiorno speciale detto "permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo", che ha sostituito la "carta di soggiorno", dal contenuto analogo, prevista in precedenza.

Ai fini del rilascio del permesso lo straniero deve dimostrare, salvo determinati casi, la disponibilità di un reddito non inferiore all'importo annuo dell'assegno sociale e, nel caso di richiesta relativa ai familiari, di un reddito sufficiente e di un alloggio idoneo che rientri nei parametri minimi previsti dalla legge regionale per gli alloggi di edilizia residenziale pubblica ovvero che sia fornito dei requisiti di idoneità igienico-sanitaria accertati dall'Azienda unità sanitaria locale competente per territorio.

Il permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo è a tempo indeterminato, salva revoca o perdita a date condizioni, ed è rilasciato entro novanta giorni dalla richiesta. Il permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo non può essere rilasciato agli stranieri pericolosi per l'ordine pubblico o la sicurezza dello Stato (D.lgs. n. 286/1998, art. 5).

Il permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo è rilasciato anche agli stranieri titolari dello status di protezione internazionale.

Il rilascio del permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo è subordinato al superamento, da parte del richiedente, di un test di conoscenza della lingua italiana, tranne alcuni casi specificamente previsti (quale il permesso di soggiorno rilasciato per lo svolgimento di attività di ricerca e quello per lo straniero titolare di protezione internazionale).

In proposito, si ricorda che i soggiornanti di lungo periodo sono equiparati ai cittadini dello Stato membro in cui si trovano ai fini, tra l’altro, del godimento dei servizi e prestazioni sociali (art. 11 della direttiva 2003/109/CE) e che si riconosce ai titolari di permesso di soggiorno di lungo periodo di poter «usufruire delle prestazioni di assistenza sociale, di previdenza sociale, di quelle relative ad erogazioni in materia sanitaria, scolastica e sociale, di quelle relative all'accesso a beni e servizi a disposizione del pubblico, compreso l'accesso alla procedura per l'ottenimento di alloggi di edilizia residenziale pubblica, salvo che sia diversamente disposto e sempre che sia dimostrata l'effettiva residenza dello straniero sul territorio nazionale» (art. 1 del decreto legislativo 8 gennaio 2007, n. 3).

Anche sulla base della normativa ora richiamata, la giurisprudenza costituzionale (si veda da ultimo la sentenza n. 106 del 2018) ha evidenziato come lo status di cittadino non sia di per sé sufficiente al legislatore per operare nei suoi confronti erogazioni privilegiate di servizi sociali rispetto allo straniero legalmente risiedente da lungo periodo.

La Corte in diverse occasioni ha infatti rilevato che le politiche sociali ben possono richiedere un radicamento territoriale continuativo e ulteriore rispetto alla sola residenza (sentenza n. 432 del 2005; ordinanza n. 32 del 2008) ma ciò sempreché un tale più incisivo radicamento territoriale, richiesto ai cittadini di paesi terzi ai fini dell'accesso alle prestazioni in questione, sia contenuto entro limiti non arbitrari e irragionevoli (sentenze nn. 222 del 2013, 133/2013 e 40/2011). In particolare, al legislatore, sia statale che regionale, sarebbe consentito attuare una disciplina differenziata per l'accesso a prestazioni eccedenti i limiti dell'essenziale, al fine di conciliare la massima fruibilità dei benefici previsti con la limitatezza delle risorse economiche da destinare al maggior onere conseguente, purché i canoni selettivi adottati rispondano al principio di ragionevolezza, in quanto «è consentito [...] introdurre regimi differenziati, circa il trattamento da riservare ai singoli consociati, soltanto in presenza di una "causa" normativa non palesemente irrazionale o, peggio, arbitraria» (sentenza n. 432 del 2005).

Se la determinazione del lasso di tempo necessario all'effettiva equiparazione tra cittadino e straniero residente di lungo periodo è lasciata alla discrezionalità del legislatore anche in relazione al tipo di servizio pubblico, la giurisprudenza della Corte ha ritenuto irragionevoli alcune disposizioni che richiedono come requisito necessario una permanenza nel territorio di molto superiore a quella necessaria all'ottenimento dello status di soggiornante di lungo periodo (5 anni).

Con la sentenza n. 168 del 2014, in riferimento ad una legge della Regione Valle d’Aosta/Vallèe d’Aoste, la Corte ha avuto modo di affermare che «la previsione dell’obbligo di residenza da almeno otto anni nel territorio regionale, quale presupposto necessario per la stessa ammissione al beneficio dell’accesso all’edilizia residenziale pubblica (e non, quindi, come mera regola di preferenza), determina un’irragionevole discriminazione sia nei confronti dei cittadini dell’Unione, ai quali deve essere garantita la parità di trattamento rispetto ai cittadini degli Stati membri (art. 24, par. 1, della direttiva 2004/38/CE), sia nei confronti dei cittadini di Paesi terzi che siano soggiornanti di lungo periodo, i quali, in virtù dell’art. 11, paragrafo 1, lettera f), della direttiva 2003/109/CE, godono dello stesso trattamento dei cittadini nazionali per quanto riguarda anche l’accesso alla procedura per l’ottenimento di un alloggio».

Da ultimo, con la sentenza 106/2018 la Corte è intervenuta sulla previsione della legge regionale della Liguria che richiedeva un periodo di residenza di 10 anni nel territorio della regione per il migrante intenzionato ad accedere all'assegnazione di un alloggio popolare rilevando in tale caso una irragionevolezza e mancanza di proporzionalità risolventesi in una forma dissimulata di discriminazione nei confronti degli extracomunitari.

Per le prestazioni non rientranti all'interno dei livelli essenziali, ex art. 117, secondo comma, lett. m) della Costituzione la giurisprudenza della Corte riconosce dunque al legislatore la facoltà di sottoporre l'erogazione del beneficio allo straniero a requisiti molto stringenti, come, ad esempio, una residenza sul territorio superiore ai 5 anni ma in ogni caso il controllo a cui tali norme sono sottoposte è quello del principio di ragionevolezza piena.

Sotto una diversa angolatura ed in riferimento a differenti misure di carattere assistenziale, deve essere richiamata anche la giurisprudenza della Corte costituzionale secondo la quale, nei casi in cui si versi in tema di provvidenze destinate a fronteggiare esigenze di sostentamento della persona, qualsiasi discriminazione tra cittadini e stranieri regolarmente soggiornanti nel territorio dello Stato, fondata su requisiti diversi dalle condizioni soggettive per essere ammessi, «finirebbe per risultare in contrasto con il principio sancito dall’art. 14 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo», per come in più occasioni interpretato dalla Corte di Strasburgo (sentenza n. 187 del 2010).

Con una serie di pronunce la Corte ha affrontato il tema di misure destinate a fronteggiare esigenze di sostentamento della persona e discriminazioni tra cittadini e stranieri regolarmente soggiornanti nel territorio dello Stato (ex plurimis, le sentenze nn. 230/2015; 22/2015; 40/2013; 329/2011, 187/2010, 11/2009 e 306/2008). In queste sentenze, la Corte ricorda che «qualsiasi discrimine fra cittadini e stranieri legalmente soggiornanti nel territorio dello Stato, fondato su requisiti diversi da quelli previsti per la generalità dei soggetti, finisce per risultare in contrasto con il principio di non discriminazione di cui all’art. 14 della CEDU» (sentenza n. 40 del 2013).

Nella sentenza n. 4 del 2013, in relazione a provvidenze a tutela dei non autosufficienti, la Corte ha affermato che «non è possibile presumere in modo aprioristico che stranieri non autosufficienti, titolari di un permesso di soggiorno per soggiornanti di lungo periodo - in quanto già presenti in precedenza sul territorio nazionale in base a permesso di soggiorno protratto per cinque anni - versino in stato di bisogno o disagio maggiore rispetto agli stranieri che, sebbene anch'essi regolarmente presenti nel territorio nazionale, non possano vantare analogo titolo legittimante». Pertanto, secondo la Corte «mentre è possibile subordinare, non irragionevolmente, l'erogazione di determinate prestazioni sociali, non dirette a rimediare a gravi situazioni di urgenza, alla circostanza che il titolo di legittimazione dello straniero alla permanenza nel territorio dello Stato ne dimostri il carattere non episodico e di non breve durata, una volta che il diritto a soggiornare alle predette condizioni non sia in discussione, l'accesso a una misura sociale non può essere differenziato in ragione della “necessità di uno specifico titolo di soggiorno” o di “particolari tipologie di residenza volte ad escludere proprio coloro che risultano i soggetti più esposti alle condizioni di bisogno e di disagio che un siffatto sistema di prestazioni e servizi si propone di superare perseguendo una finalità eminentemente sociale”».

Con la sentenza n. 22 del 2015, è stata dichiarata costituzionalmente illegittima la disposizione di cui all’art. 80, comma 19, della legge n. 388/2000 (Legge finanziaria 2001), nella parte in cui subordinava al requisito della titolarità della carta di soggiorno la concessione agli stranieri legalmente soggiornanti nel territorio dello Stato della pensione di cui all’art. 8 della legge 10 febbraio 1962, n. 66 (Nuove disposizioni relative all’Opera nazionale per i ciechi civili) e dell’indennità in favore dei ciechi parziali, di cui all’art. 3, comma 1, della legge 21 novembre 1988, n. 508, osservando che la specificità dei connotati invalidanti delle persone non vedenti rendeva ancora più arduo, rispetto alle altre invalidità, subordinare la fruizione del beneficio al possesso della carta di soggiorno, cioè a un requisito di carattere meramente temporale, del tutto incompatibile con la indifferibilità e la pregnanza dei relativi bisogni.

Ancora, la sentenza n. 230 del 2015 ha dichiarato incostituzionale in parte qua l’art. 80, comma 19, della legge n. 388 del 2000, che condizionava la concessione agli stranieri, legalmente soggiornanti nel territorio dello Stato, della pensione di invalidità civile per sordi e della relativa indennità di comunicazione al requisito della titolarità della carta di soggiorno. La Corte ha ritenuto tuttavia che tale requisito fosse censurabile sotto una pluralità di profili. L’erogazione condizionata allo straniero di «prestazioni economiche peculiari, che si fondano sull’esigenza di assicurare (…) un ausilio in favore di persone svantaggiate, in quanto affette da patologie o menomazioni fortemente invalidanti per l’ordinaria vita di relazione e, di conseguenza, per le capacità di lavoro e di sostentamento», a un requisito come quello di soggiorno di lunga durata nel territorio dello Stato, è risultata in contrasto anzitutto con il principio di uguaglianza sostanziale, perché frustrava le «esigenze di tutela che, proprio in quanto destinate al soddisfacimento di bisogni primari delle persone invalide, appaiono per sé stesse indifferenziabili e indilazionabili sulla base di criteri meramente estrinseci o formali». La norma, inoltre, comprometteva anche i doveri di solidarietà sociale, che in una prospettiva costituzionalmente orientata sono inderogabili; la tutela del diritto alla salute, «anche nel senso dell’accessibilità ai mezzi più appropriati per garantirla»; nonché una «protezione sociale più ampia e sostenibile». La Corte ha invece confermato la legittimità della scelta di condizionare l’erogazione della pensione di invalidità in esame alla «presenza di condizioni reddituali limitate, tali, perciò, da configurare la medesima come misura di sostegno per le indispensabili necessità di una vita dignitosa», nonché all’accertamento che il soggiorno dello straniero «risulti, oltre che regolare, non episodico né occasionale».

(…)

 

Testo integrale del Dossier (file PDF - 1,6 MB)