World Health Organization
Regional Office for Europe
22 gennaio 2019
Il Report on the health of refugees and migrants in the WHO European Region: no public health without refugee and migrant health (2018), unico nel suo genere e di cui l’INMP ha coordinato le attività di studio epidemiologico, raccoglie e analizza le evidenze contenute in più di 13.000 documenti di letteratura a partire dal 2014, relativamente allo stato di salute dei rifugiati e dei migranti presenti nei 53 Paesi della Regione Europea dell’OMS.
Dall'analisi emerge che la maggior parte delle evidenze raccolte si concentra sulle malattie infettive, mostrando che i rifugiati e i migranti possono essere più vulnerabili sia nei luoghi di origine, sia di transito che di destinazione, a causa, ad esempio, dell’alta prevalenza di malattie infettive in alcuni Paesi di partenza, dei problemi nell'accesso ai servizi sanitari o di condizioni di vita deprivate nei Paesi di transito e destinazione. Ma è anche vero che emerge un rischio molto basso di trasmissione di queste malattie alla popolazione dei Paesi ospitanti.
Infatti, la maggior parte di coloro che giungono nei Paesi europei è sostanzialmente in buona salute, confermando l’ipotesi del “migrante sano”, legata alle buone condizioni di tali individui alla partenza. L’Italia, grazie al servizio sanitario universalistico di cui dispone, è in grado di fornire risposte efficaci in termini di individuazione precoce e trattamento, prendendosi cura della salute dei singoli e garantendo la salute delle comunità.
Dal rapporto emerge altresì un rilevante numero di altre condizioni di salute che possono rappresentare un carico di malattia per il migrante, sulle quali, però, vi è necessità di un ulteriore approfondimento: le malattie non trasmissibili, le problematiche legate alla salute mentale, alla salute materno-infantile e a quella occupazionale. Tali problemi tendono spesso ad acuirsi per i migranti con il passare del tempo di permanenza nel Paese ospitante, a causa dell’esposizione continua a determinanti sociali negativi, specie laddove il sistema di integrazione risulti carente.
Molte malattie non trasmissibili, ad esempio, tra i rifugiati e i migranti appena giunti, sembrano avere tassi di prevalenza più bassi rispetto alla popolazione che li ospita, ma i due tassi iniziano a convergere man mano che aumenta la durata del soggiorno del migrante nel Paese; questo è particolarmente evidente per l'obesità. Inoltre, sebbene i rifugiati e i migranti abbiano un rischio più basso per quasi tutte le neoplasie, è più probabile che queste possano essere diagnosticate in una fase più tardiva rispetto alla popolazione ospite.
La salute mentale del migrante, che di suo può già risentire di esperienze traumatiche legate al percorso migratorio, può addirittura peggiorare, come nel caso della depressione, una volta raggiunto il Paese di destinazione, per via delle cattive condizioni socioeconomiche e dell’isolamento sociale.
Ancora, il rapporto sottolinea come i migranti nei luoghi di lavoro mostrino, tra gli uomini, incidenti più frequenti rispetto ai cittadini residenti, con condizioni di impiego e di accesso alla protezione sociale e sanitaria molto difformi.
Anche i risultati sulla salute materno-infantile mostrano esiti peggiori correlati alla gravidanza tra le donne migranti, mentre i fattori protettivi possono essere legati sia alla persona, quali il livello di istruzione o la conoscenza della lingua, sia all’efficacia delle politiche di integrazione.
Infine, le evidenze disponibili in tema di accesso ai servizi sanitari descrivono un quadro variegato nel continente, che dipende da molti fattori: tra questi, lo status giuridico - in particolare la condizione di regolarità nel Paese, l’organizzazione stessa dei servizi e la loro gratuità.
Occorre pertanto rafforzare la raccolta delle evidenze, la collaborazione intersettoriale e multidisciplinare, nonché i sistemi informativi nazionali, ed è necessario contribuire ad abbattere le barriere d’accesso ai servizi sanitari, con l’obiettivo di una sempre maggiore equità nella salute e dell’efficacia delle politiche di tutela della salute pubblica.